Ex ilva Taranto scioperi vertenze

Si riaccende la tensione sulla vertenza ex Ilva. Dopo il tavolo saltato a Palazzo Chigi, i sindacati accusano apertamente il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, di aver “tradito gli impegni presi” e chiedono l’intervento diretto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Non abbiamo lasciato noi il tavolo, è stato Urso a tradirci” denunciano in una nota congiunta i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella. “Eravamo stati convocati per discutere il piano di riconversione industriale presentato ad agosto e ci siamo trovati davanti un piano di chiusura, con 6.000 lavoratori in cassa integrazione. È un piano di morte, non di rilancio”.

Le sigle metalmeccaniche accusano il governo di aver stravolto gli obiettivi del confronto e di aver voltato le spalle a Taranto e al futuro dell’acciaio italiano. Da qui la richiesta di un segnale politico forte: “Chiediamo che la premier Meloni prenda in mano la trattativa, per ristabilire la fiducia e aprire una vera discussione sul futuro produttivo dello stabilimento”.

Anche il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, è intervenuto con toni duri, parlando di “rottura senza precedenti” e denunciando l’assenza di risorse nella legge di bilancio: “Siamo a rischio chiusura del gruppo, e nella manovra gli investimenti sull’ex Ilva sono zero. Se vogliamo salvare la fabbrica e dare una prospettiva, serve una società ad hoc con presenza pubblica. Altrimenti, il governo sta solo accompagnando alla chiusura un pezzo strategico dell’industria nazionale, e noi non lo permetteremo”.

Landini ha definito la vertenza “emblematica del fallimento delle politiche industriali degli ultimi anni”, ricordando che “non si possono dare colpe ad altri: sono tre anni che questo governo è in carica”.

Dietro le tensioni, resta il nodo principale: il futuro produttivo di Taranto. Dopo i recenti annunci di aumento della cassa integrazione fino a 6.000 unità e il rallentamento dei progetti di decarbonizzazione, i sindacati chiedono un cambio di passo e un intervento pubblico diretto, sul modello di altri grandi Paesi europei.

Intanto, dal ministero non arrivano nuove convocazioni: la crisi dell’ex Ilva resta sospesa tra le accuse incrociate e il rischio concreto di un crollo industriale con pesanti ripercussioni sociali e occupazionali.


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