L’Italia resta in una fase di equilibrio fragile, sospesa tra la speranza di una ripresa e la realtà di una crescita che non decolla. I dati più recenti diffusi dall’Istat raccontano un’economia ferma nel terzo trimestre del 2025, con il Pil stazionario rispetto ai tre mesi precedenti. Un risultato in linea con quello della Germania, ma inferiore a quanto registrato da Francia e Spagna, segno di una competitività ancora compressa nel contesto europeo.
Nonostante la frenata del prodotto interno lordo, alcuni indicatori segnalano una vitalità residua del sistema produttivo. Le esportazioni, pur oscillanti durante l’estate, mostrano un saldo positivo (+1,2%) tra giugno e agosto, a fronte di importazioni in leggero calo (-0,3%), riflesso di una domanda interna che resta debole.
La produzione industriale ha offerto un parziale recupero: a settembre è cresciuta del 2,8% rispetto ad agosto, compensando la pesante flessione del mese precedente (-2,7%). Tuttavia, nella media del terzo trimestre, l’indice resta in terreno negativo (-0,5%), segnale che l’industria italiana fatica a ritrovare una traiettoria stabile dopo la contrazione estiva.
Sul fronte del mercato del lavoro, i numeri sono incoraggianti. A settembre l’occupazione è aumentata, trainata soprattutto dall’impiego femminile e da una crescita diffusa in quasi tutte le fasce d’età. Gli occupati permanenti sono in aumento, mentre calano i contratti a termine e restano stabili gli autonomi. È un trend che suggerisce una maggiore fiducia nella stabilità occupazionale, anche se il ritmo della crescita economica non lo giustifica pienamente.
L’inflazione prosegue il suo percorso di discesa. A ottobre 2025, secondo le stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) è cresciuto solo dell’1,3% su base annua, un dato inferiore alla media dell’area euro (+2,1%) e che conferma un rallentamento marcato rispetto ai mesi scorsi. Tuttavia, dietro questo miglioramento si nasconde una tensione strutturale: il caro-alimentari continua a mordere.
Dal 2021 al 2025, i prezzi dei beni alimentari in Italia sono aumentati del 24,9%, quasi otto punti percentuali in più rispetto all’inflazione generale (+17,3%). Le cause vanno ricercate nello shock energetico del biennio 2022-2023, che ha colpito in modo diretto i costi di produzione del comparto agricolo e in modo indiretto i prezzi dei fertilizzanti e dei prodotti intermedi. Negli ultimi due anni la crescita dei prezzi si è attenuata, ma parte della spinta si è consolidata, anche per effetto del recupero dei margini di profitto delle imprese agricole.
Il quadro complessivo è dunque quello di un Paese che resiste più che crescere. La discesa dell’inflazione e l’aumento dell’occupazione offrono una boccata d’ossigeno, ma la stagnazione del Pil, la fragilità del sistema industriale e la permanenza di prezzi elevati per i beni primari continuano a limitare il potenziale di sviluppo.
In un contesto globale segnato da incertezza e volatilità, l’Italia ha bisogno di politiche industriali e fiscali di medio periodo, capaci di restituire stabilità agli investimenti e fiducia alle imprese. Solo così sarà possibile trasformare la tenuta attuale in una crescita strutturale e duratura.
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