Ex Ilva di taranto

Un piano “di decarbonizzazione in quattro anni”, con l’obiettivo di mantenere la continuità produttiva e trasformare l’Italia nel primo Paese europeo capace di produrre solo acciaio verde. È questo il progetto presentato dal governo ai sindacati per il rilancio dell’ex Ilva, come reso noto dalla Fiom-Cgil, in un momento in cui si cerca di assicurare un futuro industriale e occupazionale al più grande polo siderurgico del Paese.

Secondo quanto emerge dal documento, il piano prevede una fase di transizione complessa, con un aumento della cassa integrazione e l’avvio dei negoziati con un nuovo potenziale acquirente estero, il terzo dopo Bedrock Industries e Flacks Group, che ha già firmato un accordo di riservatezza e ottenuto l’accesso alla data room. L’incontro preliminare – svoltosi lo scorso venerdì – sarebbe stato “positivo” e ha portato a una richiesta di ulteriori chiarimenti, segnale di un interesse concreto.

Dal punto di vista operativo, dal 15 novembre 2025 a febbraio 2026 Acciaierie d’Italia (ADI) avvierà una serie di interventi di manutenzione sugli altoforni 2 e 4, sull’acciaieria 2, sul treno nastri 2, sulla rete gas coke e sull’agglomerato, oltre che sugli impianti marittimi e ambientali. Ulteriori lavori, “auspicabilmente a cura del nuovo acquirente”, sono previsti da marzo 2026, compresi quelli sull’altoforno 1, condizionati al dissequestro dell’impianto.

Nel frattempo, dal 15 novembre scatterà un nuovo piano operativo a ciclo corto, che comporterà la rimodulazione dell’assetto produttivo del sito. Dal 1° gennaio 2026 è previsto lo stop delle batterie di cokefazione, mentre da metà gennaio ci sarà l’alternanza tra gli altoforni 4 e 2, con un solo impianto in funzione per circa venti giorni.

La rimodulazione produttiva porterà a un incremento del ricorso alla cassa integrazione, che passerà dalle attuali 4.550 a circa 5.700 unità, con integrazione del reddito garantita da una norma legislativa in arrivo. Dal 1° gennaio, con la fermata delle batterie di cokefazione, si arriverà a 6.000 lavoratori in cassa integrazione.

Il cuore del piano, tuttavia, è rappresentato dal nuovo impianto DRI (Direct Reduced Iron) che dovrà sorgere a Taranto entro 4 anni, con il supporto della Regione Puglia. Il governo garantirà “l’immediata disponibilità delle risorse finanziarie necessarie” e lavorerà per assicurare all’impianto e alla centrale termoelettrica una fornitura di gas via condotte terrestri a prezzi competitivi, in linea con gli obiettivi di sostenibilità e transizione energetica.

Infine, il Tavolo Taranto, istituito al Mimit lo scorso maggio, sta analizzando le opportunità di reindustrializzazione di alcune aree interne ed esterne al perimetro del sito siderurgico. Sono già in valutazione i progetti di investimento di oltre 15 aziende italiane ed estere, attive in diversi settori strategici, con potenziali ricadute occupazionali e produttive nell’arco del quadriennio.

Progetti ambiziosi che, però, attendono ora di essere attuati in una terra troppo spesso illusa e poi abbandonata al proprio destino.


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