Ponte sullo stretto di Messina

L’Italia si trova a un bivio diplomatico e finanziario dopo le recenti dichiarazioni di Matthew Whitaker, ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO. La strategia ventilata dal governo Meloni di includere il costo del Ponte sullo Stretto di Messina nella spesa militare per raggiungere l’obiettivo del 5% del PIL imposto dall’Alleanza Atlantica sembra aver incontrato la ferma opposizione di Washington. La notizia, riportata da Bloomberg, evidenzia un’allerta significativa che potrebbe compromettere i piani italiani per finanziare un’opera infrastrutturale di enorme portata.

Le parole di Whitaker sono inequivocabili. L’ambasciatore ha dichiarato che “gli Usa non approvano contabilità creative degli alleati Ue per centrare l’obiettivo di spesa Nato”. Questa frase, sebbene non menzioni esplicitamente l’Italia, è stata interpretata come un chiaro avvertimento diretto al nostro Paese, che sta valutando proprio questa possibilità. L’ambasciatore ha sottolineato l’importanza che la spesa del 2% si riferisca “specificamente alla difesa e alle spese correlate” e che l’impegno sia “assunto con fermezza”.

Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, aveva avanzato un mese fa l’ipotesi di considerare il Ponte come un’opera a “dual use”, cioè con una valenza strategica sia civile che militare. Salvini aveva rimandato la decisione finale ai ministri dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e della Difesa, Guido Crosetto. L’intento era evidentemente quello di sfruttare la flessibilità contabile per far rientrare il costo dell’opera nel calcolo del 5% del PIL, una soglia che l’Italia fatica a raggiungere. La mossa avrebbe consentito al governo di liberare risorse dal bilancio ordinario, un’esigenza cruciale in un momento di strette finanziarie.

Tuttavia, il monito di Whitaker mette in discussione la fattibilità di questa operazione. Gli Stati Uniti, principali contributori e promotori degli impegni della NATO, sembrano voler evitare che i Paesi membri utilizzino la spesa per la difesa come un “parcheggio” per progetti civili, anche se di rilevanza strategica. Questa posizione, se confermata, costringerà il governo italiano a riconsiderare i propri piani di finanziamento per il Ponte.

Il braccio di ferro diplomatico che si preannuncia solleva interrogativi sulla tenuta della strategia finanziaria del governo Meloni. L’Italia, da un lato, è sotto pressione per rispettare i parametri di spesa NATO e, dall’altro, deve trovare le risorse necessarie per un’opera che, secondo le stime, avrà un costo considerevole. Se l’ipotesi di “dual use” dovesse fallire, l’alternativa sarebbe ricorrere interamente al bilancio dello Stato o a forme di partenariato pubblico-privato, soluzioni che potrebbero generare ulteriori tensioni politiche e finanziarie. La decisione finale spetterà ora a Roma, ma è chiaro che le parole di Washington hanno già segnato un punto cruciale nel dibattito sul futuro di questa grande opera.


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