La Camera dei Deputati ha approvato mercoledì 25 giugno 2025, con 136 voti favorevoli, 94 contrari e 5 astenuti, il disegno di legge “Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale” (A.C. 2316-A), già approvato in prima lettura dal Senato lo scorso marzo. Il provvedimento torna ora a Palazzo Madama per la terza e ultima lettura, dopo le modifiche apportate durante l’esame alla Camera.
Si tratta di un passaggio normativo di assoluto rilievo, che potrebbe fare dell’Italia il primo Paese dell’Unione Europea a dotarsi di una legge nazionale organica sull’IA, in attuazione e integrazione dell’AI Act europeo. Il disegno di legge, composto da 28 articoli, rappresenta una cornice generale che affida al Governo il compito di adottare successivi decreti legislativi per disciplinare vari aspetti dell’uso dell’intelligenza artificiale nel contesto italiano.
Il testo prevede regole specifiche per l’impiego dell’IA nei settori pubblico e privato, con particolare attenzione a professioni regolamentate, mondo del lavoro, giustizia, pubblica amministrazione e tutela del diritto d’autore.
Tra le disposizioni più rilevanti figurano:
obbligo per i professionisti, come avvocati e commercialisti, di informare i clienti sull’utilizzo di strumenti basati su IA;
divieto per i datori di lavoro di utilizzare tecnologie di IA per il controllo a distanza dei dipendenti;
limitazioni all’uso dell’IA in ambito giudiziario, consentita solo per il supporto tecnico o organizzativo all’attività dei magistrati, escludendo qualunque forma di “giustizia predittiva” operativa.
Soddisfatto il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, che ha definito l’approvazione “un passaggio fondamentale per l’Italia”, auspicando una rapida chiusura del ciclo parlamentare: “Completiamo ora il quadro nazionale, rafforzando sicurezza, innovazione e tutela dei diritti dopo aver guidato l’elaborazione dell’AI Act e dei principi internazionali G7 sull’IA”.
Di tutt’altro tono la reazione della vicepresidente della Camera Anna Ascani (PD), che ha parlato di “un’occasione mancata per affermare una vera sovranità tecnologica europea”. Le opposizioni, con il sostegno di associazioni come la Rete per i Diritti Umani Digitali, hanno criticato il rigetto degli emendamenti su trasparenza algoritmica, limiti alla sorveglianza biometrica, istituzione di un’autorità indipendente, e sulla proprietà europea delle tecnologie utilizzate nella PA.
L’articolo 8, in particolare, ha sollevato un ampio dibattito in ambito accademico e giuridico. Tale norma introduce una deroga al GDPR per i progetti di ricerca nel campo dell’IA, della robotica, delle neuroscienze e delle interfacce cervello-computer. I trattamenti di dati personali per queste finalità sono qualificati come “di rilevante interesse pubblico”, consentendo così alle università, IRCCS ed enti no profit di procedere anche senza il consenso esplicito degli interessati, purché i dati siano anonimizzati o, se identificabili, siano autorizzati dai comitati etici. Il Garante per la privacy non dovrà rilasciare autorizzazioni preventive, ma potrà intervenire ex post in caso di violazioni.
Il ddl prevede infine che, ove possibile, le tecnologie adottate dalla pubblica amministrazione e dai professionisti siano italiane o europee, anche se è rimasta la possibilità di conservare i dati su server extra-UE. Rientrano nelle deleghe al Governo anche le misure per la formazione professionale, la definizione di equi compensi e l’istituzione di meccanismi di vigilanza.
Avviato al Senato nel maggio 2024, il disegno di legge arriva a questa terza lettura dopo oltre un anno di dibattiti e revisioni. Il prossimo voto a Palazzo Madama, atteso nelle prossime settimane, potrebbe segnare un punto di svolta per la governance dell’IA in Italia, in un contesto europeo ancora in fase di armonizzazione regolamentare.
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