Ex Ilva di taranto

La crisi dell’ex Ilva torna al centro dello scontro industriale italiano. Il secondo vertice convocato a Palazzo Chigi nel giro di una settimana tra governo, commissari straordinari e sigle sindacali si è concluso con una rottura netta e con la proclamazione di uno sciopero unitario di 24 ore da parte di Fim, Fiom e Uilm. È la prima mobilitazione organizzata in modo congiunto su scala nazionale dopo mesi di tensione crescente.

Le posizioni, al tavolo, sono rimaste distanti. I sindacati accusano l’esecutivo di aver messo sul tavolo un piano che «di fatto prevede la dismissione» del polo siderurgico più grande d’Europa, attraverso un uso esteso della cassa integrazione che coinvolgerebbe fino a 6.000 lavoratori, contro i 4.450 attualmente in sospensione. Per le organizzazioni dei metalmeccanici la misura preluderebbe a un ridimensionamento strutturale e non temporaneo, con il rischio concreto di abbandono dell’acciaio italiano.

Il governo respinge però questa interpretazione. Da Palazzo Chigi sottolineano che non ci sarà «alcuna estensione della cig» rispetto a quanto già emerso, spiegando che la novità riguarda invece nuovi percorsi di formazione professionale, rivolti anche a chi è già in sospensione retributiva. Lo scopo dichiarato è preparare il personale alla conversione tecnologica dei siti produttivi, oggi al centro della transizione verso tecnologie “green” per l’acciaio a basse emissioni.

La rassicurazione non convince i sindacati. Il leader Uilm, Rocco Palombella, parla apertamente di rischio chiusura: «Dal primo marzo non avremo più 6.000 lavoratori in cassa integrazione, ma probabilmente l’intero organico. È un disastro annunciato». Sulla stessa linea la Fim-Cisl, che definisce il piano «inaccettabile», e la Fiom-Cgil, che chiede il ritiro immediato del progetto e l’intervento diretto della presidente del Consiglio. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, conferma «pieno sostegno allo sciopero» e invita l’esecutivo a «un cambio di rotta e la riapertura del confronto con un piano industriale vero».

Sul fronte istituzionale la partita resta aperta anche su un altro fronte cruciale: la vendita del gruppo. Al tavolo, il governo ha confermato che sono in corso trattative con più soggetti industriali e finanziari, tra cui i fondi Bedrock Industries e Flacks Group, oltre a un ulteriore soggetto non ancora pubblico. Un quarto operatore extra-Ue si sarebbe aggiunto di recente, elemento definito dagli osservatori «rilevante e potenzialmente decisivo».

L’Usb critica anche la proposta di formazione per i 1.550 lavoratori aggiuntivi coinvolti in sospensione, definendo il pacchetto da 93 mila ore «un anestetico sociale» e non un reale progetto industriale. Il punto centrale rivendicato da tutti i sindacati resta infatti lo stesso: il ritorno dello Stato come azionista industriale, con un ruolo operativo nella governance e nelle strategie di rilancio.

Il futuro dell’ex Ilva rimane così sospeso fra industrializzazione, decarbonizzazione e tensione sociale, mentre il conto alla rovescia per la mobilitazione è già iniziato e la vertenza torna a essere uno dei dossier più esplosivi del panorama industriale italiano.


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