Gender gap
"Step in inequality" è l'opera della designer giapponese Kazunori Shiina che ha vinto nel 2016 il Clio Award

 

A giugno, il tasso di occupati raggiungeva la percentuale più alta mai registrata dal 1977: il 60,1% della popolazione. Più contratti a tempo indeterminato, sia per uomini che per donne; meno lavoratori autonomi e meno lavoratori sotto i 25 anni. In generale, più lavoro per laureati e chi possiede livelli di formazione più alti. Come le donne, che in media in Italia risultano più istruite degli uomini per titoli di studio posseduti. E invece no. Dai dati aggiornati di settembre 2022, risulta occupato il 51% delle donne tra i 15 e i 64 anni, a fronte del 69,4% degli uomini; nonostante le differenze si vadano assottigliando a parità di livelli di istruzione più alti. Ecco la prima incongruenza. Non l’unica: cresce il tasso di disoccupazione nei giovani tra i 15 e i 24 anni; mentre ci si aspetta un calo demografico al Sud entro il 2050 pari al 70% di quello atteso per l’Italia. Strano? No. Se scorporiamo quel 60,1% iniziale esce fuori che al Centro-Nord l’occupazione è di circa il 65,3% (non troppo lontana dalla media europea del 68,4%), mentre al Sud siamo ben sotto il 50: solo in Campania, gli occupati totali sono il 41,3%; l’occupazione femminile rappresenta appena il 29,1%.

Gender-gap e altre discriminazioni

Le differenze non riguardano solo l’occupazione, ma anche il tipo di posizione ricoperta.

La “segregazione verticale” è un’altra forma di discriminazione che consiste nel serrare la strada verso il successo: le donne trovano lavoro, ma devono faticare molto di più per raggiungere posizioni manageriali. E non è detto che la fatica sia ricompensata. 

In Italia, dati Eurostat del 2019 segnalano una grande sproporzione tra numero di uomini e donne posti a capo di posizioni di rilievo. Anche in Lettonia, Paese col tasso più alto di manager donne in Europa, la soglia è sotto il 50%; mentre in Italia siamo fermi al 28%. Tasso, quest’ultimo, incrementato, di appena 0.3% negli ultimi dieci anni.

Anche qui, bisogna quindi fare attenzione nel controllare i dati: spesso, un aumento dell’occupazione non corrisponde a una reale riduzione delle disuguaglianze. 

E il salario?

Secondo il Wolrd Inequality Report, che misura la quota di redditi del lavoro femminile, questa era pari a circa 35% nel 2021. Basso, sì; ma comunque un salto avanti di addirittura 4 punti, in circa trent’anni…

In relazione al salario, il gender-gap nel settore pubblico non sembra troppo profondo. Diverso il discorso sul privato, dove le stime segnano un media di 20% di differenziale salariale uomo-donna. 

Il confronto con l’Europa

Le disuguaglianze non si limitano all’ambito lavorativo. Il Woman, Peace and Security Index 2021/2022 del Georgetown Institute è un indice nato per valutare la qualità della vita delle donne nei vari Paesi, in termini di uguaglianza, giustizia e sicurezza.

E poiché “si è sempre meridionali di qualcuno”, anche qui notiamo il nord Europa in testa, con Norvegia, Finlandia e Islanda ad aprire la classifica, seguite nella top ten dai Paesi che occupano l’area settentrionale del nostro continente. Al ventottesimo posto, l’Italia. Israele prima di lei, Polonia a seguire.

Congedi parentali

Un lusso che non possono permettersi tutti, i congedi. Soprattutto se vivi in un paese che si è retto sulla divisione netta dei ruoli: perché, se la donna non lavora, naturalmente, ha più tempo. Così bene che non lavori, altrimenti… il tempo dove lo trova? Ma il Governo lo sa: è per questo che esiste il congedo di paternità obbligatorio di ben 10 giorni! Oltre a un’indennità pari al 30% della retribuzione. Certo, tutt’altra storia per i paesi scandinavi come la Norvegia, dove i papà – come le mamme – hanno 12 settimane di congedo e altre 34 da dividere con le mamme, per un totale di 46 pagate al 100% (80%, se le settimane diventano 56). O paesi come la Germania, dove i 12 mesi concessi diventano 14 se ne beneficia anche il padre. Ma loro sono il Nord, è normale.

Come possono distinguersi, le aziende?

Dal luglio 2022, il Codice delle Pari Opportunità ha introdotto la possibilità di segnalare la sensibilità aziendale verso il tema con la Certificazione della Parità di Genere. La valutazione avviene sulla base di opportunità di carriera offerte, livelli retributivi, tutela della maternità. E se la virtù, da sola, non dovesse bastare, per chi riesce a passare l’esame previsti incentivi come l’esonero contributivo fino a 50 mila euro all’anno.

 

di Fabiana Stornaiuolo