Ponte sullo Stretto di Messina

Il progetto del Ponte sullo Stretto subisce un nuovo, significativo arresto. La Corte dei Conti ha annunciato di non aver ammesso al visto di legittimità il terzo atto aggiuntivo della convenzione tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la Società Stretto di Messina, documento centrale per definire poteri, funzioni e impegni finanziari tra Stato e concessionaria nell’ambito della realizzazione della grande opera. La decisione arriva a poche settimane dal precedente blocco imposto alla delibera del Cipess, che assegnava risorse pubbliche e approvava il progetto esecutivo dell’infrastruttura.

Il provvedimento, adottato al termine dell’adunanza del 17 novembre, al momento non contiene le motivazioni puntuali, che verranno pubblicate entro trenta giorni. Tuttavia, la magistratura contabile ha precisato che il testo oggetto di valutazione riguarda l’attuazione del decreto del 1° agosto 2025, n. 190, adottato congiuntamente da MIT e MEF in attuazione della normativa che disciplina il progetto del ponte, introdotta con il decreto-legge del 31 marzo 2023.

L’atto bloccato oggi è strettamente legato a quello già respinto a fine ottobre e mette in discussione l’intero percorso amministrativo costruito dal governo per riattivare il progetto dopo anni di sospensione. In assenza del visto, infatti, non è possibile procedere alla sottoscrizione dell’accordo di programma tra lo Stato e la concessionaria, passaggio fondamentale per sbloccare i finanziamenti e dare seguito alle procedure esecutive.

La reazione politica non si è fatta attendere. Il ministro Matteo Salvini, da sempre principale sostenitore dell’opera, ha provato a smorzare la portata della decisione definendola «inevitabile conseguenza del primo stop» e assicurando che «gli esperti sono già al lavoro per chiarire tutti i punti». Il leader della Lega ha ribadito di sentirsi «determinato e fiducioso», rilanciando la volontà del governo di portare avanti il progetto.

Di segno opposto le valutazioni delle opposizioni. Il senatore del Movimento 5 Stelle, Pietro Lorefice, parla di una «figuraccia istituzionale» e di un progetto gestito «con approssimazione» per finalità elettorali più che infrastrutturali. Secondo Lorefice, il nuovo stop conferma che l’intera operazione avrebbe dovuto essere sospesa già da tempo.

Il giudizio più duro arriva dal fronte ecologista. Per Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, la decisione della Corte ha una portata «di gravità assoluta», perché indica che «il governo stava impegnando risorse pubbliche in un quadro non legittimo, per un’opera da 14 miliardi di euro priva di certezze tecniche, ambientali e giuridiche». Bonelli annuncia la disponibilità a ricorrere alla Procura europea, qualora l’esecutivo decidesse di andare avanti nonostante i rilievi formali.

Il richiamo alla legalità amministrativa, alla sostenibilità e alla coerenza delle procedure torna a essere centrale in un progetto che, per decenni, ha diviso governi, territori e opinione pubblica. E mentre maggioranza e opposizione si fronteggiano sul piano politico, la questione resta, per ora, congelata sul piano istituzionale e giuridico.

La decisione attesa entro un mese dalla Corte dei Conti potrà chiarire definitivamente la natura delle criticità riscontrate. Nel frattempo, però, la più controversa infrastruttura italiana appare nuovamente sospesa, tra ambizione strategica e limiti normativi non ancora superati.


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