E’ scontro sul salario minimo. Il Senato ha approvato in via definitiva la delega al governo per introdurre in Italia una forma di salario minimo. Una decisione che chiude un percorso parlamentare controverso e segnato da forti tensioni politiche.
Il provvedimento era nato da una proposta delle opposizioni, che chiedevano un salario minimo immediatamente applicativo con soglia fissata a 9 euro l’ora. La maggioranza di centrodestra ha però modificato radicalmente l’impianto, trasformando la misura in una delega che lascia al governo sei mesi di tempo per varare i decreti legislativi.
Secondo quanto stabilito, gli esecutivi futuri dovranno definire, per ciascuna categoria di lavoratori, i contratti collettivi nazionali più rappresentativi, facendo in modo che il trattamento minimo in essi previsto diventi il riferimento vincolante per quella categoria. Restano esclusi dalla norma i lavoratori del settore pubblico.
Le critiche delle opposizioni
Tutte le opposizioni hanno votato contro, compresa Italia Viva che in precedenza non aveva firmato la proposta originaria. M5s ha denunciato una “legge truffa”, accusando il centrodestra di voler fare “solo propaganda” e calcolando “quattro milioni di persone con paghe da fame” che non vedranno benefici concreti.
La senatrice di Iv ed ex leader sindacale Annamaria Furlan aveva proposto emendamenti per introdurre la concertazione con le parti sociali, ma sono stati respinti dalla maggioranza.
Le ambiguità della maggioranza
Il centrodestra ha difeso la delega, ma non senza contraddizioni. Raoul Russo (FdI) ha definito il salario minimo “da socialismo reale”, mentre Micaela Biancofiore lo ha bollato come “misura assistenzialistica”. Nonostante queste dichiarazioni, la maggioranza ha comunque deciso di concedere all’esecutivo la possibilità di introdurlo.
Nel testo approvato emerge inoltre il riferimento a strumenti per favorire la contrattazione di secondo livello, territoriale o aziendale. Una scelta che, secondo i critici, potrebbe preludere al ritorno delle cosiddette “gabbie salariali”, con differenze retributive basate sul territorio.
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