Fondapi, il Fondo pensione complementare negoziale di categoria destinato ai lavoratori ed alle imprese fondato a fine anni ’90, di recente ha ricevuto il premio Tripla A degli “Investment Manager Award” per la categoria Investimenti Previdenziali per il suo impegno costante per l’eccellenza nella selezione del portafoglio e della massima attenzione al monitoraggio dei rischi, confermando per il secondo anno di seguito il successo della sua gestione finanziaria.
Con il Direttore Mauro Bichelli conosciamo meglio Fondapi. Partendo dal recente riconoscimento volgiamo lo sguardo al futuro della previdenza complementare in Italia.
Direttore, quale valore aggiunge, se qualcosa aggiunge, il premio TRIPLA A del quale è stato insignito Fondapi?
Abbiamo ricevuto per il secondo anno consecutivo il premio che viene assegnato da Milano Finanza come miglior fondo pensione contrattuale – sui 33 attuali – poiché offriamo la migliore gamma prodotti, spiega Bichelli, che prosegue:
I nostri tre profili di investimento – comparto prudente, comparto garanzia e comparto crescita – hanno ottenuto punteggi altissimi, sono tutti considerati tripla a, si trovano nella parte alta dei rendimenti, confrontati con gli altri del settore.
Il nostro impianto di gestione finanziaria è sicuramente particolare. Abbiamo gestioni specialistiche – o solo obbligazioni, o soltanto azioni – ed in più, da molti anni, abbiamo inserito anche un “filtro ESG”, un filtro sostenibile, che ci porta ad investire con un “effetto di trascinamento” soprattutto sulle aziende con ottimi requisiti di sostenibilità.
Questo prestigioso riconoscimento conferma che la selezione dei gestori che abbiamo fatto nel tempo, unitamente al continuo ed attento monitoraggio delle gestioni selezionate, ci hanno consentito di dare ai nostri lavoratori rendimenti ai vertici della classifica. Nella storia di Fondapi è anche successo di fare i conti con gestori che hanno disatteso certe aspettative, ma quando si è verificato – due volte negli ultimi 15 anni – il Fondo, attento a garantire gestori valenti dal punto di vista delle performance, sfruttando una facoltà che la legge riconosce, ha licenziato quei gestori.
Nei prossimi anni quali saranno gli obiettivi di Fondapi?
L’obiettivo principale, il più importante, riguarda la platea che Fondapi vuole raggiungere.
Oggi contiamo tra gli iscritti circa 105.000 lavoratori e 14.000 Aziende, ma siamo consapevoli che la dimensione potenziale è maggiore, almeno 8 volte superiore.
Accrescere la propria platea è sicuramente l’obiettivo primario di Fondapi perchè la previdenza complementare è sì una tutela per i lavoratori nell’età di non-lavoro come durante la vita lavorativa, ma rappresenta anche un’opportunità per le aziende che possono ottimizzare i flussi di cassa futuri e fidelizzare sempre di più i lavoratori.
Se guardiamo ad una delle questioni dirompenti di questo ultimo periodo, ovvero la rivalutazione del tfr, ed immaginiamo quanto il costo del debito da tfr per una azienda potrebbe diventare imponente nei prossimi anni (se l’inflazione si mantiene alta), l’iscrizione al fondo potrebbe fornire un aiuto poiché offrirebbe una soluzione in una duplice direzione: eviterebbe il crescere del debito da tfr avvicinando al contempo i lavoratori ad un valido sistema di tutele sociali ed economiche.
Tra le iniziative più recenti e nelle quali Fondapi crede moltissimo c’è un accordo stipulato con alcune associazioni industriali del mondo Confapi presenti sul territorio nazionale. Crediamo profondamente che l’iscrizione al Fondo non debba riguardare soltanto i lavoratori ma debba passare attraverso una svolta culturale del tessuto industriale con le aziende e le associazioni industriali loro consulenti in prima linea.
È un argomento al quale mi piacerebbe le aziende mostrassero maggiore attenzione.
Noi siamo disponibilissimi a recarci ovunque sull’intero territorio nazionale, organizzare assemblee nelle aziende e con i lavoratori per chiarire ai nostri interlocutori quante e quali sono le opportunità concrete offerte dalla previdenza complementare. È davvero importante ed utile “far rumore” su questo tema.
Direttore Bichelli, sono oltre 15 anni che dirige il Fondo, durante questo periodo ha vissuto il passaggio del sistema pensionistico da retributivo a contributivo. Allo stato attuale, in un momento nel quale la dinamica demografica e lo stato dei conti pubblici italiani escludono miglioramenti e, anzi, rendono possibile un’ulteriore riduzione dei trattamenti pensionistici futuri, è corretto ritenere che aderire ad un sistema di previdenza complementare rappresenti per molti (se non tutti i lavoratori) una necessità?
Sì, purtroppo.
Dico purtroppo perché se l’Italia ha promosso la nascita della previdenza complementare lasciando facoltà ai lavoratori se aderirvi o meno, questa soluzione ha finito per far affluire ai fondi pensione ad oggi soltanto un terzo dei lavoratori sul totale di quanti potrebbero iscriversi.
Se ci confrontiamo con altre nazioni del Continente e guardiamo per esempio al Nord Europa notiamo che tutti i Paesi hanno previsto forme di semi obbligatorietà e la popolazione iscritta alla previdenza complementare fa registrare cifre di gran lunga superiori a quelle che riguardano l’Italia. In secondo luogo, se non si lavora a stretto giro per un miglioramento di questo impianto della normativa, tutto il settore potrebbe dover fare i conti di qui a breve con una grande sconfitta.
È recentemente emerso da uno studio de Il Sole 24ore che il nostro è un Paese con più pensionati che lavoratori, nel 37% delle province italiane il numero delle pensioni supererebbe quello degli occupati. Si tratta di uno scenario che secondo molti non migliorerà da qui alla fine del decennio e nel quale la riforma delle pensioni potrebbe rivelarsi non così efficace così come è stata calibrata nelle intenzioni del Governo.
È uno scenario che deve allarmare secondo Lei?
Generalmente tendo ad essere ottimista ma purtroppo è uno scenario che allarma.
Le parti sociali hanno cercato di fare tanto in merito, ma fino ad oggi i Governi, sia di destra che di sinistra, non hanno mai avuto un orizzonte, per così dire, lungo.
Anche le recenti operazioni del Parlamento sembra siano state dirette più a sottrarre che a dare. Uno degli esempi recenti è quello del tfr in busta paga: non ha aderito quasi nessuno a quello che nei fatti appare un grande passo indietro, un ritorno ad almeno un secolo fa. Non è facile essere ottimisti in questo scenario, me ne rendo conto, ma credo fermamente che una soluzione che aiuterebbe tutti potrebbe essere immaginare almeno una parziale obbligatorietà per la previdenza complementare, magari destinata ai giovani sotto i quarant’anni, ad esempio. Questo consentirebbe dopo poco tempo di far emergere il valore della previdenza complementare e consentirebbe di non far morire i fondi pensione perché, se questo stato di cose non muta, di qui a 10 anni si rischia di perdere una buona fetta degli iscritti, conclude il Direttore Mauro Bichelli.
di Alessandra Romano