L’Italia che esce dal 59° Rapporto Censis è un Paese attraversato da una tripla frattura: ricchezza sempre più concentrata, industria in difficoltà strutturale e mercato del lavoro che invecchia rapidamente. Tre dinamiche che, intrecciandosi, ridisegnano il profilo economico e sociale nazionale e aprono interrogativi pesanti sulla sostenibilità del modello di crescita.
Tra il 2011 e il 2025, la ricchezza delle famiglie italiane si è ridotta in termini reali dell’8,5%. Un dato che da solo smentisce l’idea di un recupero diffuso dopo la lunga stagione di crisi. Ma ciò che colpisce di più è la distribuzione delle perdite: a pagare il prezzo più alto è stato il ceto medio. Il 50% delle famiglie con meno patrimonio ha visto evaporare oltre il 23% della propria ricchezza, mentre le famiglie collocate tra il sesto e l’ottavo decile hanno subito tagli ancora più pesanti, con riduzioni comprese tra il 24% e oltre il 35%. Anche il nono decile è arretrato, con un calo superiore al 17%.
A salvarsi, e anzi a crescere, è stato solo il vertice della piramide: il 10% più ricco delle famiglie ha aumentato la propria ricchezza del 5,9%. Un dato che fotografa in modo plastico l’aumento delle disuguaglianze patrimoniali. All’inizio del 2025, il 60% della ricchezza nazionale è concentrato nelle mani di 2,6 milioni di famiglie, mentre quasi la metà dell’intero patrimonio italiano è detenuta da appena 1,3 milioni di nuclei, il 5% più abbiente. Alla base della piramide, 13 milioni di famiglie controllano appena il 7,3% della ricchezza, in calo rispetto all’8,7% del 2011. È la fotografia di una polarizzazione sociale sempre più marcata, che restringe progressivamente lo spazio del ceto medio, tradizionale pilastro della stabilità economica e democratica.
Sul versante produttivo, il quadro non è meno preoccupante. L’industria italiana è in contrazione da oltre due anni, con una sequenza quasi ininterrotta di segni meno: produzione manifatturiera in calo nel 2023 (-1,6%), nel 2024 (-4,3%) e anche nel 2025 (-1,2% nei primi nove mesi). Anni in cui interi comparti chiave stanno perdendo peso e occupazione. Il tessile e l’abbigliamento registrano un crollo vicino al 12%, la meccanica arretra di oltre il 6%, la metallurgia del 4,7%, i mezzi di trasporto del 10,6%. Solo l’alimentare è riuscito a crescere nel 2024.
Dentro questo “autunno industriale”, emerge un paradosso emblematico degli equilibri geopolitici contemporanei: mentre l’industria tradizionale soffre, la fabbricazione di armi e munizioni cresce del 31% nel 2025. Il riarmo diventa così, di fatto, uno degli antidoti alla crisi industriale, con implicazioni economiche ma anche politiche ed etiche di enorme portata.
Il terzo grande asse critico è quello del lavoro. L’Italia sta vivendo una vera e propria “senilizzazione del mercato occupazionale”. Tra il 2023 e il 2024, su 833.000 nuovi occupati, oltre l’84% aveva più di 50 anni. Nel 2025 il fenomeno si è ulteriormente accentuato: l’aumento complessivo degli occupati è dovuto esclusivamente agli over 50, mentre calano gli occupati tra i 35 e i 49 anni e crollano quelli sotto i 35. Parallelamente cresce il numero degli inermi tra i giovani, con un aumento netto degli inattivi.
Questo squilibrio produce un effetto diretto sulla produttività, che infatti scende: -2% per occupato e -3,5% per ora lavorata. L’input di lavoro cresce molto più del Pil, segnalando una economia che lavora di più ma produce relativamente meno valore. A compensare solo in parte c’è il balzo dell’automazione: l’Italia è oggi sesta al mondo per numero di robot industriali installati, con oltre 10.000 nuove installazioni in un solo anno. Un dato che racconta un sistema produttivo che si ristruttura, ma che lo fa mentre perde giovani, competenze diffuse e capacità di crescita inclusiva.
Nel complesso, il Rapporto Censis descrive un Paese che si regge su un equilibrio sempre più fragile: famiglie mediamente più povere, ricchezza concentrata in poche mani, una base produttiva che perde peso e un mercato del lavoro che invecchia. È una traiettoria che, senza un’inversione strutturale su salari, produttività, redistribuzione e politiche industriali, rischia di trasformare la stagnazione in una condizione permanente.
Leggi le notizie di Piazza Borsa
Per restare sempre aggiornato, segui i nostri canali social Facebook, Twitter, Instagram e LinkedIn











