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Che cos’è il Patto di stabilità? Una domanda questa che in molti si staranno facendo visto l’ennesimo scontro in atto a Bruxelles, con l’Italia pronta ad apporre il veto alla ratifica delle modifiche elaborate dalla Commissione. Nel gergo comune viene chiamato “Patto di stabilità” ma, in realtà, si tratta dello “Stability and Growth Pact” (quindi patto di stabilità e crescita) con il quale l’Unione europea richiede ai Paesi membri il rispetto di alcuni parametri di bilancio.

Il Patto di stabilità è uno dei pilastri su cui si regge l’Unione europea e serve ad armonizzare le politiche di bilancio pubblico perseguite dai Paesi membri. Lo scopo è quello di garantire la stabilità economica interna e si basa su due parametri fondamentali: il deficit dei singoli Stati contraenti e il rapporto debito pubblico e Pil.

Chi non rispetta i vincoli concordati rischia una pesante procedura d’infrazione che si traduce dapprima in una raccomandazione e poi in una sanzione vera e propria. A causa del Covid è stato sospeso fino al 31 dicembre 2023 e nel 2024 tornerà a essere in vigore.

Quando e perché è nato il Patto di stabilità

Il Patto di stabilità e crescita è stato stilato e sottoscritto dai Paesi membri dell’Unione europea nel 1997, modificato in prima battuta con una risoluzione e poi con due successivi Regolamenti europei – ritoccati nel 2005 – del Consiglio europeo. Alla base di questo accordo c’era – e c’è tutt’ora – l’intento di controllare le politiche di bilancio pubbliche e mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria europea, e quindi rafforzare il percorso di integrazione monetaria che ha avuto il via con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht nel 1992.

La procedura d’infrazione

Gli Stati membri che non soddisfano i parametri previsti dal Patto di stabilità (rapporto deficit/Pil < 3% e rapporto debito/Pil < 60%) possono subire la procedura d’infrazione prevista all’articolo 104 del Trattato che consta in tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione.

Cosa succede oggi: le modifiche e la posizione dell’Italia

Visto il mutato quadro economico continentale, con lo scoppio della guerra in Ucraina che ha minato la ripresa post-Covid, l’Unione europea è pronta ad apportare delle modifiche al Patto di stabilità. Per Giorgia Meloni però le condizioni elaborate da Bruxelles resterebbero troppo stringenti e proibitive per l’Italia minacciando il possibile ricorso al veto.

Dopo essere stato sospeso per tre anni a causa della pandemia, nel 2024 il Patto di stabilità tornerà a essere in vigore e, se così fosse, l’Italia non riuscirebbe a rispettare i parametri soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra deficit e Pil: al momento siamo oltre il 140%, ben lontani dal tetto massimo del 60%. L’Italia però sarebbe in buona compagnia visto che sarebbero ben tredici gli Stati membri a sforare questo parametro, con solo la Grecia però che starebbe messa peggio di noi. Ad aprile 2023 la commissione europea ha elaborato delle modifiche al Patto di stabilità che adesso però devono essere ratificate. I due limiti del 3% (rapporto deficit-Pil) e 60% (rapporto debito pubblico-Pil) resterebbero invariati, ma verrebbero introdotti al tempo stesso dei correttivi per quanto riguarda i piani di rientro.

Contraria la premier Meloni

Modifiche queste che non piacciono a Giorgia Meloni: “L’Italia non riuscirebbe comunque a rispettare le nuove regole. Credo si debba fare una valutazione su ciò che è meglio per l’Italia sapendo che se non si trova un accordo, noi torniamo ai precedenti parametri. Io farò tutto quello che posso”.

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