Alla mezzanotte del 1° ottobre gli Stati Uniti sono entrati ufficialmente in shutdown, il primo dopo sette anni. La mancata approvazione della legge di bilancio al Congresso ha congelato gran parte dell’amministrazione federale, con centinaia di migliaia di dipendenti pubblici messi in disoccupazione forzata e milioni di cittadini americani esposti a gravi disagi nei servizi.
Lo stallo nasce dallo scontro tra i repubblicani di Donald Trump e i democratici al Senato. La proposta di spesa repubblicana è stata bocciata con un voto di 55 a 45, nonostante due senatori democratici abbiano rotto la disciplina di partito. Per Trump la responsabilità è tutta dell’opposizione: «I democratici hanno bloccato il governo perché vogliono che i contribuenti paghino l’assistenza sanitaria gratuita agli immigrati clandestini», ha accusato la Casa Bianca.
Lo shutdown è la sospensione delle attività del governo federale degli Stati Uniti quando il Congresso non riesce ad approvare entro la fine dell’anno fiscale – fissata al 30 settembre – una legge di spesa o una misura temporanea (stopgap bill). In altre parole, senza un budget approvato, l’amministrazione non ha la possibilità legale di erogare fondi e deve fermare gran parte delle proprie funzioni.
Il meccanismo deriva dall’Antideficiency Act, una norma che vieta al governo federale di sostenere spese non autorizzate dal Congresso. Di conseguenza, in assenza di copertura, scatta l’obbligo di chiudere tutti i servizi considerati “non essenziali”.
Cosa si ferma e cosa resta attivo
Durante uno shutdown vengono sospese o drasticamente ridotte le attività di uffici pubblici, parchi nazionali, musei federali e una lunga lista di servizi amministrativi. Migliaia di dipendenti federali vengono messi in congedo senza stipendio. Restano però operativi i settori considerati vitali, come forze armate, forze dell’ordine, servizi di controllo aereo e ospedali pubblici, anche se spesso i lavoratori non ricevono subito la paga.
Una crisi politica ricorrente
Lo shutdown non è un incidente raro: dal 1976 a oggi se ne sono verificati più di venti, alcuni di poche ore, altri molto più lunghi. Il record spetta a quello del 2018-2019 sotto l’amministrazione Trump, durato 35 giorni, con un costo stimato di oltre 11 miliardi di dollari secondo il Congressional Budget Office.
Ogni episodio è frutto di uno stallo politico tra Casa Bianca e Congresso, spesso legato a temi molto divisivi: spesa sanitaria, politiche migratorie, fondi per la difesa o per la cooperazione internazionale.
Impatti economici e sociali
Le conseguenze vanno oltre la politica. Uno shutdown prolungato riduce il PIL, rallenta i consumi, crea incertezza sui mercati e danneggia la fiducia dei cittadini. L’interruzione dei servizi pubblici può incidere su turismo, ricerca scientifica, procedure burocratiche e perfino sulla sicurezza dei voli. Nel 2013, ad esempio, la chiusura di 13 giorni costò oltre 2 miliardi di dollari solo in mancati ingressi nei parchi nazionali.
Scontro politico
Questa volta lo scontro assume un carattere ancora più duro. Trump, che ha fatto del taglio alla spesa pubblica e del contrasto all’immigrazione irregolare un pilastro politico, ha spinto le agenzie federali a preparare piani di licenziamento di massa, in netto contrasto con la prassi passata di semplice sospensione. Secondo indiscrezioni, il piano elaborato dall’Office of Management and Budget guidato da Russ Vought – già architetto del Project 2025 – potrebbe portare fino a 200.000 licenziamenti permanenti.
Per i democratici si tratta di un «tentativo di intimidazione», volto a scaricare sulla minoranza la responsabilità politica dello shutdown. Ma la polarizzazione rende difficile qualsiasi compromesso. I dem chiedono la proroga di Obamacare, il ripristino dei fondi per la cooperazione internazionale e il finanziamento alle emittenti pubbliche, mentre la Casa Bianca rifiuta ogni apertura.
La crisi rischia di avere conseguenze politiche ed economiche rilevanti. Da un lato, lo shutdown rappresenta un test per la leadership di Trump e per la tenuta del Congresso. Dall’altro, l’impatto sul PIL, sui consumi e sulla fiducia dei mercati potrebbe essere significativo se lo stallo dovesse protrarsi a lungo.
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