Vola il prezzo del pane. La denuncia arriva da Assoutenti (AU) -Associazione Nazionale Utenti Servizi Pubblici, nata per tutelare e promuovere i diritti fondamentali dei consumatori, che ha messo a confronto i listini di pane e pasta nelle principali città italiane, per capire come i rincari di luce e gas scattati lo scorso gennaio abbiano influito sui prezzi al dettaglio.

Napoli è la città meno cara. A Ferrara il pane costa 9,8 euro al chilo.

Il record, segnala Assoutenti, è stato registrato a Ferrara dove viene venduto fino a 9,8 euro al chilo. Napoli tiene: è la più economica con il prezzo fermo a 2 euro al chilo (prezzo massimo). Sul podio del risparmio anche le province di Cosenza (2,5 euro) e Benevento (2,65 euro). Il prezzo medio del pane – comunica l’associazione – si attesta a 5,31 euro al kg. Al secondo posto si piazza Forlì, dove il prezzo massimo del pane fresco è di 9 euro al kg (4,37 euro il prezzo medio). Carissima anche Venezia, dove un chilo di pane fresco è venduto in media a 5,52 euro (8,5 euro la quotazione massima). I listini superano i 6 euro/kg in numerose città, da Milano a Bari, passando per Ancona, Macerata, Bologna, Bolzano, Modena, Reggio Emilia, Trento e Udine.

I prezzi della pasta

Sul fronte della pasta di semola di grano duro Cagliari è la città più cara d’Italia, con i prezzi massimi che raggiungono il record di 4,7 euro al kg (1,95 euro il prezzo medio), seguita da Sassari 3,35 euro (1,80 euro/kg il prezzo medio). Il prezzo massimo della pasta supera i 3 euro al kg in altre 7 città: Bergamo, Brescia, Genova, Grosseto, Macerata, Perugia, Pescara.

I listini più bassi si registrano a Messina, dove il prezzo massimo è di 1,86 euro (1,21 il prezzo medio), 2,07 euro il prezzo massimo a Siracusa.

Sui listini di prodotti come pane e pasta pende oggi la spada di Damocle della guerra in Ucraina che ha fatto impennare le quotazioni internazionali non solo del grano, ma anche del gas e del petrolio, voci che incidono sui costi di produzione e, quindi, sui prezzi finali al pubblico. Per tale motivo esiste il rischio di concreto di nuovi rialzi dei prezzi compresi tra il +15% e il +30% per una moltitudine di prodotti di largo consumo, dalla pasta ai dolci, passando per pane, crackers e biscotti.

Sciopero 15 marzo

Proprio per protestare contro l’insostenibile situazione in atto, Assoutenti assieme ad altre associazioni dei consumatori ha indetto per la giornata di oggi, 15 Marzo, uno sciopero dei consumi di luce e gas teso a boicottare il gas russo importato in Italia, invitando le famiglie a ridurre il più possibile l’utilizzo di energia e dare il proprio contributo concreto alle sanzioni verso la Russia.

Nello specifico in questa giornata gli utenti sono invitati a: spegnere il riscaldamento o limitarlo a 15 gradi; lavarsi con l’acqua fredda; mangiare cibi senza usare il gas (pensate ai cittadini ucraini e alla loro alimentazione di questi giorni); non usare il ferro da stiro, la lavatrice, la lavastoviglie, e nessun altro elettrodomestico, o limitarne fortemente l’utilizzo; ridurre l’uso del cellulare, del computer e del televisore alle sole emergenze (comunicazioni essenziali, radio e telegiornali).

Perché pane e pasta costano così tanto?

Lo scoppio della guerra in Ucraina è solo l’ultimo degli aspetti. Il conflitto si somma a una situazione che era già critica da mesi. I forni subiscono aumenti da mesi e mesi. Da circa otto mensilità la situazione è incontrollata. Sono aumenti che riguardano le farine ma anche le altre materie prime, la luce e il gas. “La farina bianca – esemplifica Sammarco, responsabile di Assopanificatori – è raddoppiata. Costava 40 centesimi e ora la acquistiamo a 80. La farina rimacinata costava 60 centesimi e oggi ne costa 90”. Poi c’è il caro bollette che ha portato al raddoppio delle spese dell’energia. “Chi pagava mille – spiega – oggi paga duemila. Per il bilancio annuale di un panificio c’è un aumento dei costi di almeno 30mila euro”.

Anche la guerra in Ucraina assume un ruolo determinante. Tra Mosca e Kiev, balla quasi un quarto della produzione mondiale di grano. L’Italia importa dall’Ucraina il 5% del suo grano e il 20% del mais. l governo russo ha prospettato restrizioni alle esportazioni di grano e ai fertilizzanti utilizzati in agricoltura. Gli ucraini non stanno più coltivando i campi e non potranno provvedere ai raccolti, essendo le donne e i bambini sfollati e gli uomini precettati in guerra dai 18 ai 60 anni. Inoltre, sui campi vengono sganciate bombe russe, per cui c’è paura anche di avvicinarvisi. Tutto questo sta portando non solo a un calo delle esportazioni, ma anche delle coltivazioni.

Un vero problema sociale, se pensiamo all’importanza di questo alimento nelle famiglie e nel quotidiano.