C’è un paradosso tutto italiano che, adesso, anche l’INPS ha reso ufficiale fornendo i dati di quella che dovrebbe assumere i toni di una emergenza sociale: sono oltre 870mila i lavoratori poveri nel nostro Paese. A ottobre 2022 tra i dipendenti privati erano 871.800 i dipendenti, pari al 6,3% della platea, a non superare la soglia di povertà. Ma questo è dovuto probabilmente a una bassa intensità di lavoro più che a una retribuzione bassa.
Lo segnala l’Inps nel suo Rapporto annuale, sottolineando che i working poor “risultano particolarmente addensati tra i dipendenti a part time (oltre mezzo milione). Ma non è possibile precisare ulteriormente, a questo livello di indagine, quanta parte del loro deficit retributivo sia attribuibile a una bassa intensità di impiego (part time di poche ore) e quanta, invece, a livelli salariali orari insoddisfacenti”.
I poveri “full time”
“Per quanto riguarda gli oltre 350mila lavoratori poveri a full time, essi risultano in buona parte riconducibili a due tipologie contrattuali specifiche (apprendistato e intermittente) mentre, per la quota restante, contano significativamente condizioni sia di assenza temporanea sia di situazione transitoria (superata nell’arco dell’anno)”. I working poor a full time per ragioni salariali – scrive l’Inps – sono 20.300 (0,2% sul totale della platea dipendenti) e distribuiti tra un numero rilevante di contratti, inclusi quelli con le platee più vaste e firmati dalle organizzazioni sindacali maggiori.
I working poor risultano quindi sotto il profilo numerico “una componente marginale dell’insieme del lavoro dipendente”.
“Ciò non esclude (anzi) – si legge – che la loro presenza sia concentrata in aree “borderline” rispetto ai “normali” rapporti di lavoro dipendente: partite Iva attivate in alternativa all’impiego come dipendente; posizioni formalmente riconducibili a istanze di completamento della formazione professionale (stagisti, praticanti etc.) e idonee a camuffare rapporti e aspettative simili di fatto a quelle sottese al “normale” rapporto di lavoro dipendente; posizioni di lavoro autonomo occasionale o parasubordinato. Senza dimenticare – conclude l’Inps – le varie tipologie di lavoro nero, integrale o associato a posizioni parzialmente irregolari”.