crisi energetica

Una delle cause della crisi energetica è stata l’uso politicante della risorsa gas da parte della Russia, ma a monte esistono gravi difficoltà di gestione dell’energia da parte dell’UE, in prima linea la nostra Italia. 

Un grande problema che attinge le sue profondi radici nell’ambientalismo irrazionale che ormai da anni pervade le Istituzioni e nel progressivo affermarsi delle preposte alla regolazione dei mercati energetici.

Le ragioni della crisi

Comprendere le ragioni per cui siamo giunti, in Europa e in Italia, ad una situazione così critica nel settore dell’energia è una condizione essenziale per stigmatizzare gli errori e per individuare gli eventuali correttivi.

Se Putin è riuscito ad attuare la sua strategia nel pieno rispetto dei contratti sottoscritti, e quindi senza compromettere “la sua immagine internazionale” di fornitore affidabile, vuol dire che a monte esistono gravi problemi di gestione dell’energia da parte dei singoli Stati membri dell’U.E., inclusa l’Italia.

L’apertura del vaso di pandora sulle gravità dei cambiamenti climatici ha messo in luce l’urgenza di agire; “il possibile” non è un astratto obiettivo ma ciò che è concretamente realizzabile con le tecnologie disponibili senza indurre danni maggiori di quelli che si intende evitare.

Le falle delle politiche ambientaliste

Quello cui invece da anni si assiste, a livello internazionale, europeo e nazionale, è il gareggiare con obiettivi ambientali sempre più ambiziosi ma privi di misure adeguate per il loro perseguimento e delle necessarie analisi e valutazioni di impatto: si pensi ad esempio alle conclusioni della COP 26 che insistono sul contenimento dell’incremento di temperatura sotto 1,5 °C quando poche settimane prima nell’Emissions Gap Report 2021 dell’UNEP era chiaramente riportato che per raggiungere tale obiettivo sarebbe necessario dimezzare le emissioni mondiali entro otto anni.

Questa gara al rialzo è difatti controproducente, una vera e propria rincorsa verso obiettivi ambientali sempre più ambiziosi può sembrare un innocuo gioco politico per attrarre consensi ma invece produce gravi conseguenze.

In particolare, nel settore del gas naturale i soggetti importatori che operano in Europa, che è come noto fortemente dipendente dall’importazione di tale fonte, hanno ridotto la loro partecipazione al rischio di impresa, la cui condivisione con gli esportatori extraeuropei (in primis la Russia) attraverso la stipula di contratti a lungo termine era di fatto l’unica misura di sicurezza energetica esistente.

La sostanziale disattenzione della politica verso tutte le altre fonti energetiche ha reso il sistema energetico più vulnerabile con conseguenze paradossali anche dal punto di vista ambientale.

Il rischio d’impresa

Trasferire il rischio di impresa sugli esportatori confidando che i mercati spot siano comunque riforniti abbondantemente può essere una strategia adeguata per un operatore che vuole gestire l’incertezza, ma è una strategia fallimentare per i paesi importatori perché aumenta fortemente il potere di mercato di quelli esportatori.

Le conseguenze ambientali

Alle gravi conseguenze economiche derivanti dal conseguente incremento dei prezzi si sommano poi le conseguenze negative sulle stesse politiche ambientali a causa del maggior ricorso al carbone e della minore disponibilità di risorse pubbliche derivante dall’enorme impegno di fondi che i governi sono costretti a destinare al contenimento dei prezzi stessi.

Il secondo focus della crisi è il progressivo affermarsi del “mercificazione” nelle Istituzioni, incluse quelle preposte alla regolazione dei mercati energetici.

È pur vero che la sicurezza energetica formalmente fa parte dei compiti dei governi e non delle Autorità indipendenti, ma è altrettanto vero che la regolazione non può disinteressarsi del rischio che i mercati regolati non siano adeguatamente riforniti.

Il mercato è uno strumento potente e utilissimo per perseguire l’efficienza ma, soprattutto se si tratta di beni essenziali, non può essere abbandonato a sé stesso.

Il funzionamento del mercato

Una prima condizione per il buon funzionamento del mercato è la numerosità dei compratori e dei venditori qualificati; se, come è il caso del gas in Europa, i venditori sono pochi e, tra questi, ce n’è uno dominante (la Russia) dovrebbe essere prioritario per le Istituzioni attuare politiche di diversificazione delle aree e degli operatori per gli approvvigionamenti, basate anche sulla realizzazione e sul rafforzamento delle infrastrutture di importazione e di stoccaggio al fine di creare uno o più hub del gas, ovvero luoghi fisici o virtuali in cui la formazione dei prezzi può avvenire in piena concorrenza.

Purtroppo, ben poco è stato fatto al riguardo e ancora oggi sembrano prevalere nelle Istituzioni teorie sulla inutilità di nuove infrastrutture sulla base di ottimistici scenari di rapidissima transizione verso la decarbonizzazione.

La seconda condizione per il buon funzionamento del mercato è la stretta correlazione tra la data di consegna dei beni contrattati e i tempi necessari all’offerta per adeguarsi alla domanda. In particolare, se l’offerta necessita di tempi lunghi per adeguarsi alla domanda, com’è il caso dell’energia elettrica e il gas naturale a causa dei rilevanti investimenti necessari, è indispensabile che anche il mercato sia prevalentemente di lungo termine; diversamente, è inevitabile che il mercato sia soggetto ad una elevata volatilità dei prezzi che può risultare insostenibile per una parte dei soggetti che necessitano di tali beni essenziali.

Tempistiche e ritardi

Purtroppo, invece, negli ultimi dieci anni in Europa ed in Italia si è assistito ad un progressivo orientamento focalizzato unicamente sui mercati spot. Se l’offerta necessita di tempi lunghi per adeguarsi alla domanda, è indispensabile che anche il mercato sia prevalentemente di lungo termine.

di Valentina Ruggiero