Giuseppe Imprerioso

Crispano, 1994. Da qui parte la storia di Giuseppe Imperioso, giovane imprenditore under30.

Grande appassionato di informatica, a 14 anni pubblica su github il suo primo codice, un risponditore automatico sul modello di doretta82. A 16 passa il tempo libero nelle community di hacking online. A 28 è fondatore e presidente di Considera, azienda di sviluppo software che ha già i suoi prodotti di punta: FADly, piattaforma e-Learning per la formazione accademica e professionale, e Metrica, piattaforma per il Retail Marketing che agevola il controllo degli store.

Oggi, Giuseppe racconta a Piazza Borsa cosa vuol dire avviare un’impresa a meno di trent’anni – e al sud – a partire dal segreto del suo successo:

Sono sempre stato molto curioso. C’è sicuramente anche una parte di fortuna: nel mio caso, è stata appassionarmi a un settore in crescita, come la programmazione. Ho avuto la fortuna di amare un ambito in cui il sistema meritocrazia funziona davvero.

Quello informatico è un ambito chiave: c’è poco spazio per la raccomandazione. Quando sei davanti al pc, o sai scrivere un codice o non sai farlo. E spesso la domanda è molto superiore all’offerta. Da questo punto di vista, è una materia molto fredda che ammette solo la capacità, il saper fare. 

Cosa ti ha fatto appassionare alla programmazione e quando e come hai capito che quella era la tua strada?

Da piccolo mi incuriosiva il funzionamento dei giocattoli: dovevo smontarli e capire cosa contenessero. Il pc era quell’elemento che, pur essendo un unico oggetto, conteneva al suo interno potenzialmente qualsiasi cosa. È stata soprattutto la curiosità a portarmi a sviluppare il primo codice. Ecco, se dovessi definire tre “caratteristiche” per raggiungere il successo, sarebbero queste: curiosità, impegno, perseveranza. 

C’è stato un momento in cui hai pensato di mollare?

No. Nei momenti più difficili ho cercato piuttosto di cambiare il modo in cui facevo informatica, ma del settore ero sicuro. Ho cercato di guardare il problema da un altro punto di vista: avevo inquadrato il “cosa”; di volta in volta adattavo il “come”.

Qual è stato l’ostacolo più grande che hai dovuto superare, e il motore che ti ha dato la spinta?

La burocrazia. Prima di avviare l’impresa ti fai mille domande su come avviarla, quanto ti costerà… nonostante questi dubbi, non ho mai pensato di mollare. La mia età mi ha dato la spinta decisiva: ho pensato che o agivo adesso o sarebbe stato più difficile farlo più tardi, quando si è già inseriti in un contesto definito e magari si hanno più vincoli. Nella peggiore delle ipotesi, sapevo di poter tornare indietro: se non fosse andata, sarei tornato a fare il programmatore.

E ora che hai aperto la tua attività, qual è la maggiore sfida?

Una grande difficoltà quotidiana è la reperibilità delle risorse. Se ci pensi, è qualcosa che contrasta molto altri campi dell’economia, spesso saturi.

Da imprenditore, cosa chiederesti allo Stato?

Dallo Stato mi aspetto che ci renda sempre più agevole l’introduzione dei giovani nel mondo del lavoro. In questo senso, per noi l’alternanza scuola-lavoro è stato un esperimento di successo. Sono arrivati in azienda molti ragazzi dall’ITIS che ci hanno mostrato i primi software fatti da loro per piccoli esercizi commerciali: siamo riusciti così a individuarne il potenziale, e a formare talenti.

A proposito di talenti, come si trattengono le risorse più valide?

I soldi sono necessari, ma riuscire a far sentire il dipendente parte del prodotto credo sia la vera chiave. Bisogna responsabilizzare i collaboratori in vista del risultato comune, coinvolgerli personalmente nel processo. È importante che sentano il prodotto finale come il loro prodotto, e gratificare questo lavoro. 

Come ti posizioni nella polemica legata alla formazione non pagata? 

Il lavoro va pagato. Anzi, in azienda, se acquisisci un dipendente che ha bisogno di essere formato, è necessario lo si paghi anche durante la formazione. Certo, capisco che in altri settori possano esserci dinamiche un po’ diverse. Nel mio ambito, la barriera d’ingresso è molto alta: ci è più facile dire “questo dipendente sta portando valore, e il valore va pagato”. Noi funzioniamo grazie alle persone: fatturiamo se chi collabora con noi è rilassato, competente e contento di quello che fa. Quindi, anche da un punto di vista puramente funzionale, non pagare i dipendenti diventa controproducente per l’azienda, che inevitabilmente rende meno.

Quanto è stata importante la tua esperienza da dipendente per diventare l’imprenditore che sei oggi? 

La mia esperienza da dipendente è stata relativamente breve, ma tutto ha fatto cultura. Soprattutto i difetti nella gestione dell’impresa – oltre ai pregi. Ad esempio, uno dei problemi che trovi al sud è che i datori di lavoro creano poca fiducia nei dipendenti, che vuol dire non avere capacità di delega. Questo porta molte aziende ad essere sottodimensionate. Vedi tante realtà nell’ambito delle telecomunicazioni o formazione hi-tech che gestiscono le proprie imprese come piccoli esercizi commerciali, senza sfruttarne appieno il potenziale.

Quali sono le fonti di ispirazione che hanno contribuito a creare la tua cultura d’impresa?  

La prima visione di come dev’essere fatta un’azienda me l’ha data Fanpage, con cui ho collaborato per tre mesi. Quando sono entrato io, eravamo in cento. Si percepiva la loro realtà, partita come start-up e poi cresciuta fino a diventare quello che è oggi. Puntare sulle storie è importante perché sono esempi concreti di chi ce l’ha fatta. Questa è una storia che mi ha ispirato. Non li ringrazierò mai abbastanza.

Nelle politiche di gestione, è stata invece determinante l’esperienza in pasticceria: uno spazio piccolo dove poche persone riuscivano a fare grandi cose.

Hai dovuto affrontare qualche pregiudizio per il fatto di essere così giovane?

In alcuni contesti vieni sottovalutato, soprattutto nei processi decisionali. Devi sgomitare di più per farti strada. Però forse hai anche più libertà e grinta per affrontare il rischio. 

Quando si fa tutto molto presto c’è il rischio di bruciare qualche tappa. Senti di esserti perso qualcosa lungo il percorso? 

Sì, ma più per necessità economiche che non per le scelte fatte. Soldi a casa non ce ne stavano, quindi ho dovuto rimboccarmi le maniche molto presto. 

Non sei certo un privilegiato: hai iniziato a lavorare presto e sei cresciuto in un contesto non facile, frequentando le superiori al Parco Verde di Caviano. Quanto ha influito il tuo background sul tuo percorso?

Sicuramente mi ha dato un punto di vista diverso. Appena arrivato all’università – che non ho terminato – sentivo il divario che c’era tra me e i miei colleghi: in informatica non ho mai avuto problemi, ma su alcune materie, come fisica e matematica, ero molto più indietro rispetto a ragazzi che avevano fatto altre scuole. Nonostante questo, il Morano mi ha dato tanto, soprattutto grazie agli insegnanti. Accettare l’incarico lì è una vocazione. Umanamente i professori mi hanno dato tantissimo. Grazie a loro siamo riusciti a superare molti pregiudizi che girano attorno alla nostra realtà. Un’esperienza particolarmente significativa è stata una specie di Erasmus per i ragazzi più meritevoli. Io ho fatto tre settimane a Dublino per studiare l’inglese e questo mi ha aperto molto la mente: ho visto cosa significa vivere una città europea che funziona. Per un ragazzo di 18 anni, è una cosa importante. 

Oggi, chi sono le persone a cui ispiri il tuo modello di business?

Di modelli, ne ho molti. Lo spirito di Vittorio Arrigoni, Adriano Olivetti… e poi Luciano De Crescenzo! Ingegnere elettronico alla IBM (che in pratica lavorava da programmatore) e poi ha dato sfogo alla sua parte più umana, diventando scrittore. Gino Strada e il suo lavoro con Emergency è un altro riferimento importantissimo! Poi ci sono Turing, Bill Gates, Stallman… la lista è lunga. 

Hai realizzato molti degli obiettivi che ti eri prefissato. Qual è il prossimo?

Portare avanti l’azienda traghettandola da sistema di consulenza a punto di riferimento per i consumatori finali del prodotto che offriamo. Oggi, l’entusiasmo è dettato dall’evoluzione: riuscire a paragonare quello che avevamo e quello che abbiamo, in termini di dimensione aziendale, indice di fatturato, soddisfazione dei clienti, in un’ottica costante di crescita.

 

Fabiana Stornaiuolo