Intelligenza artificiale - Ai act Quadrivio Group

L’intelligenza artificiale entra con forza nel tessuto produttivo italiano, ma lo fa a velocità diverse, ampliando il divario tra grandi imprese e PMI. Nel 2025 l’adozione dell’IA tra le imprese con almeno 10 addetti raddoppia in un solo anno, passando dall’8,2% al 16,4%, dopo il 5% registrato nel 2023. Un’accelerazione netta, che segnala come la trasformazione digitale non sia più un tema sperimentale, ma una leva sempre più centrale nelle strategie aziendali.

Il dato più rilevante riguarda le grandi imprese: oltre la metà utilizza almeno una tecnologia di intelligenza artificiale, con un balzo dal 32,5% del 2024 al 53,1% nel 2025. Anche tra le PMI l’adozione raddoppia, ma resta su livelli molto più contenuti, fermandosi al 15,7%. Ne deriva un divario strutturale che, anziché ridursi, si amplia proprio sul fronte dell’IA, passando da 20 punti percentuali nel 2023 a ben 37 punti nel 2025.

Questo andamento contrasta con quanto avviene su altri indicatori digitali. L’utilizzo di software gestionali ERP e CRM, l’adozione del cloud computing e la diffusione dell’analisi dei dati mostrano una riduzione graduale delle distanze dimensionali. Nel 2025, il 68,1% delle imprese acquista servizi cloud di livello intermedio o avanzato, mentre l’uso dei software gestionali raggiunge il 56%, con un incremento di circa sette punti rispetto al 2023. Ancora più marcata è la crescita dell’analisi dei dati, che in due anni passa dal 26,6% al 42,7% delle imprese.

Sul piano europeo, questi progressi si riflettono nel miglioramento del posizionamento dell’Italia rispetto agli obiettivi del “Decennio Digitale 2030”. L’88,3% delle PMI ha raggiunto almeno un livello base di digitalizzazione, avvicinandosi al target del 90% fissato dall’Unione europea. Anche sul cloud l’obiettivo del 75% risulta già ampiamente superato, mentre restano più distanti i traguardi su analisi dei dati e intelligenza artificiale, rispettivamente al 56,9% e al 21,9%.

L’adozione dell’IA, inoltre, non è omogenea tra i settori. Energia, telecomunicazioni, servizi informatici e professioni tecniche guidano l’innovazione, con quote elevate sia nell’analisi dei dati sia nell’uso dell’intelligenza artificiale. Al contrario, comparti più tradizionali mostrano una maggiore propensione verso strumenti digitali orientati al mercato, come social media ed e-commerce, senza però compiere il salto verso tecnologie più complesse.

Tra le imprese che già utilizzano l’IA, oltre la metà sperimenta l’intelligenza artificiale generativa, soprattutto per l’estrazione di informazioni dai testi, la produzione di contenuti e il riconoscimento vocale. Tuttavia, l’adozione resta spesso ancora poco strutturata: cresce la quota di imprese che dichiarano di usare l’IA senza riuscire a ricondurla a un ambito aziendale preciso, segnale di un utilizzo iniziale, sperimentale e talvolta guidato più dalla pressione competitiva che da una strategia definita.

Il vero freno allo sviluppo non è tecnologico, ma umano e organizzativo. Quasi il 60% delle imprese che hanno valutato l’IA senza adottarla indica la mancanza di competenze come principale ostacolo, seguita dall’incertezza normativa, dalla qualità insufficiente dei dati e dai timori legati a privacy e sicurezza. Un quadro che evidenzia come la transizione digitale richieda non solo investimenti, ma politiche pubbliche mirate su formazione, semplificazione regolatoria e accompagnamento delle PMI.

Nel complesso, i numeri raccontano un Paese in rapido movimento, ma ancora diviso. L’intelligenza artificiale si afferma come fattore competitivo decisivo, capace di incidere su produttività, organizzazione e innovazione. Senza un intervento strutturale sul capitale umano, però, il rischio è che l’IA diventi un ulteriore moltiplicatore delle disuguaglianze dimensionali e territoriali, più che un motore di crescita diffusa.


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