Nel confronto tra il reddito pro capite delle famiglie italiane e quello dell’area Ocse, emerge che mentre da noi nel secondo trimestre 2023 è stato registrato un calo dello 0,3%, la media dei Paesi dell’organizzazione ha visto una crescita dello 0,5%. Tra le tante ricette che girano per trovare una soluzione, è rispuntato l’adeguamento automatico di salari e stipendi ai prezzi di consumo, il vecchio sistema della “scala mobile” abbandonato oltre trent’anni fa.
L’indagine
A offrire un contributo per capire cosa davvero ferma il reddito degli italiani e cosa funziona in altri Paesi, arriva un’analisi dello studio legale Daverio&Florio, specializzato nel diritto del lavoro e della previdenza sociale e tra i fondatori di Innanagard, network internazionale di specialisti della materia.
Secondo l’analisi, non è il modello dell’indicizzazione automatica dei salari all’inflazione a far crescere i redditi, visto che attualmente viene utilizzato solo in Lussemburgo e spesso in Belgio. Nella maggior parte dei Paesi infatti, l’adeguamento dei salari è deciso da trattative libere con il datore di lavoro, dalla negoziazione dei sindacati, dal governo o, come in Italia, dai contratti collettivi. E qui per il nostro Paese viene il problema o almeno una parte importante di questo. Dei 977 contratti collettivi relativi al settore privato che risultavano depositati al Cnel il 1° settembre 2023, ben 557, pari al 57% del totale, è scaduto, con una media di più di 4 anni. Al di là del freddo dato, significa che oltre 7,4 milioni di lavoratori sono in attesa dei rinnovi.
La proposta di Salvini
Nel dibattito sui salari e su come aumentarli irrompe una proposta della Lega, che progetta di agganciare gli accordi di secondo livello all’inflazione delle varie città, ed è subito polemica. Con Pd, 5 Stelle e Cgil che sparano a zero contro la proposta di introdurre per questa via delle gabbie salariali. L’idea del partito guidato da Matteo Salvini è di legare di più gli stipendi al costo della vita. Per questo la Lega ha presentato un disegno di legge «per dare la possibilità alla contrattazione di secondo livello, territoriale e aziendale, di utilizzare il parametro del costo della vita, oltre a quelli già previsti per legge, nell’attribuzione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti pubblici e privati».
La reazione del M5S
I primi ad insorgere sono stati i 5 Stelle. «Il M5S si opporrà con tutte le sue forze alla proposta con cui la Lega vuole riportare il Paese indietro di cinquant’anni tornando alle gabbie salariali. L’ennesimo tentativo di spaccare l’Italia dopo l’Autonomia differenziata. Con questa maggioranza non c’è limite al peggio». Ha dichiarato la senatrice Elisa Pirro. «Dopo l’autonomia differenziata ecco l’ennesimo atto per continuare a spaccare l’Italia e aumentarne i divari>>.
Il PD
Ovviamente tutto nel silenzio degli autoproclamati “patrioti” attacca a sua volta il responsabile Sud della segreteria nazionale Pd, Marco Sarracino. Il quale assicura che “il Pd non lo consentirà, perché una proposta del genere mette realmente in discussione il principio di uguaglianza e la coesione del nostro paese».
CGIL annuncia gli scioperi
«Siamo alle gabbie salariali e di nuovo di fronte ad un attacco alla funzione solidale del contratto nazionale e al sindacato in quanto rappresentanza collettiva dei lavoratori» dichiara Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil. «Il Sud – prosegue – è già discriminato dai livelli di disoccupazione, dalla deindustrializzazione, dalla debolezza di reti e infrastrutture, da sanità e servizi che subiranno ulteriori tagli. Questo ddl è una ulteriore motivazione per gli scioperi proclamati insieme alla Uil, a partire dal 17 novembre. Lo ostacoleremo con tutti gli strumenti a nostra disposizione».