Le periferie italiane da decenni raccontano storie di marginalizzazione, degrado e isolamento. I recenti interventi a Scampia e Caivano offrono un esempio di come sia possibile invertire la rotta, ma lasciano emergere una domanda cruciale: perché aspettare emergenze o tragedie per intervenire? La riqualificazione deve diventare la regola e non l’eccezione.
A Napoli, lo sgombero delle Vele di Scampia rappresenta un traguardo storico. Questi edifici, un tempo simbolo di degrado e illegalità, stanno lasciando spazio a una visione di futuro più dignitosa e inclusiva. Grazie al progetto ReStart Scampia, finanziato dal PNRR e da altre risorse europee e nazionali, le famiglie coinvolte stanno trovando soluzioni abitative temporanee e attendono la realizzazione di nuovi alloggi moderni. Parallelamente, alcune strutture saranno riqualificate per ospitare servizi pubblici essenziali. Un intervento accelerato dalla tragedia del crollo verificatosi nel luglio 2024 che fece registrare tre morti e tredici feriti, tra cui 7 bambini. L’ultimo episodio di una lunga serie che mediaticamente hanno fatto associare Scampia con il degrado.
Lo stesso spirito di rigenerazione si è visto a Caivano, dove un focus nazionale ha portato lo Stato a intervenire con un piano di rilancio che coinvolge scuole, infrastrutture e sicurezza urbana. Anche in questo caso, le istituzioni hanno agito in seguito alla tragedia che ha visto protagoniste due giovanissime cuginette vittime del branco.
In virtù di questo, il punto fondamentale rimane chiaro: l’attenzione alle periferie non può essere legata solo al clamore mediatico o a singoli casi di cronaca nera.
Le periferie non sono semplicemente spazi fisici; sono comunità di persone che vivono ai margini, spesso senza opportunità né servizi adeguati. Questo isolamento non è solo geografico ma anche sociale, ed è alimentato da politiche urbane frammentarie e da una scarsa attenzione alla loro integrazione con il resto della città. Progetti come quelli di Scampia e Caivano dimostrano che lo Stato può e deve essere presente in modo coordinato, incisivo e rispettoso, creando spazi urbani che restituiscano dignità ai cittadini.
Il problema è strutturale: molte aree di edilizia popolare sono diventate ghetti, dove la tolleranza verso comportamenti devianti è alimentata dalla mancanza di alternative. In queste realtà, lo Stato appare distante, e il senso di abbandono si traduce in una spirale di degrado. La rigenerazione delle periferie deve invece partire da una visione inclusiva che combini interventi edilizi, sostegno sociale, opportunità educative e inserimento lavorativo.
Non si tratta solo di abbattere edifici fatiscenti o di trasferire famiglie altrove, ma di trasformare interi quartieri in luoghi vivibili, sicuri e connessi al resto della città. Questo richiede fondi, certo, ma soprattutto una volontà politica chiara e una pianificazione a lungo termine che coinvolga enti locali, associazioni e cittadini.
Scampia e Caivano sono oggi simboli di un riscatto possibile, ma rappresentano anche un monito per il futuro. Non possiamo permettere che le periferie diventino il luogo dove nascondere le disuguaglianze, lontano dagli occhi di chi vive nei centri urbani più privilegiati. Serve una politica che intervenga prima che il degrado e l’abbandono si trasformino in tragedie, per dimostrare che lo Stato non solo esiste, ma sa essere presente nel momento e nel modo giusti.
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