Sanità

Ogni anno in Italia oltre 500.000 persone si spostano dalla propria regione per ricevere cure mediche, generando un flusso economico che avvantaggia le regioni del Nord a scapito di quelle del Sud. Secondo uno studio dell’Università di Pisa, pubblicato sulla rivista Papers in Regional Science, nel 2019 il Sud ha trasferito circa 3,7 miliardi di euro al Nord per prestazioni sanitarie non disponibili localmente.

L’analisi, condotta dal ricercatore Giovanni Carnazza in collaborazione con Raffaele Lagravines, Paolo Liberati e Irene Torrini delle Università di Bari, Roma Tre e Bocconi, esamina la mobilità sanitaria in Italia dal 2002 al 2019. I dati mostrano come il Sud sia il principale esportatore di pazienti, mentre il Nord sia il principale beneficiario delle risorse sanitarie. Calabria, Campania e Puglia sono le regioni che più subiscono il fenomeno, perdendo enormi somme per finanziare cure fuori dal territorio. Al contrario, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto guadagnano oltre 300 milioni di euro all’anno, grazie all’afflusso di pazienti da altre regioni.

Il Centro Italia presenta una situazione più equilibrata: Toscana e Lazio attraggono pazienti da altre regioni, mentre Umbria e Marche registrano un saldo meno marcato. Nel 2019, ad esempio, la Toscana ha ottenuto un saldo positivo di circa 139 milioni di euro, grazie a strutture di eccellenza come l’Ospedale di Careggi a Firenze, l’Azienda ospedaliera-universitaria di Pisa e la Fondazione Monasterio. I fattori che rendono queste regioni più attrattive includono l’alta specializzazione in oncologia, cardiochirurgia e trapianti, oltre a tempi di attesa più contenuti rispetto ad altre aree del Paese.

“La mobilità sanitaria amplifica il divario Nord-Sud, drenando risorse economiche dalle regioni meridionali a vantaggio di quelle settentrionali, che possono così migliorare ulteriormente i propri servizi – spiega Giovanni Carnazza – creando un circolo vizioso di disuguaglianza nel sistema sanitario nazionale. Il modello di finanziamento attuale penalizza le regioni più povere, sarebbe quindi auspicabile una riforma che redistribuisca le risorse in base ai reali bisogni sanitari delle regioni, garantendo livelli di assistenza omogenei su tutto il territorio nazionale”.


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