Par Condicio - Proteste Rai, Tg1, Giorgia Meloni

Polemiche par condicio. Il servizio pubblico televisivo «ridotto a megafono del governo», è la denuncia senza mezzi termini dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti della tv di Stato. Ministri e sottosegretari infatti non avranno alcun vincolo di tempo nei programmi e potranno dire ciò che vorranno purché sia riferito all’attività istituzionale. Ma andiamo per ordine. 

I cambiamenti voluti da Giorgia Meloni per la Rai

Nella serata di martedì 9 aprile la Commissione di vigilanza Rai ha approvato un emendamento che modifica il funzionamento delle regole sulla par condicio. La proposta proveniva ed è stata approvata dalla maggioranza di governo per il governo Meloni. Questa particolarità è stata subito motivo di accuse e forti proteste. Diverse realtà giornalistiche hanno criticato la scelta e utilizzato termini gravi per descrivere quanto deciso da Giorgia Meloni (nello specifico FdI-Lega e Noi moderati senza Forza Italia), come per esempio “assalto alla par condicio”. C’è anche chi si spinge oltre e rivede nell’approvazione del cosiddetto lodo Fazzolari una volontà di censura nostalgica.

Cosa regola la legge sulla par condicio?

Il primo aspetto da chiarire è cosa si intenda per par condicio. Con questo termine si definiscono una serie di regole, introdotte intorno agli anni 2000, che garantiscono la parità di accesso agli spazi di informazione alle varie formazioni politiche. Le regole rispondono alla necessità di tutela del pluralismo durante i periodi elettorali.

Nella realtà cosa cambia? Da qui alle elezioni europee non ci saranno limiti temporali per i politici candidati, che potranno intervenire in merito alla loro attività istituzionale senza ostacoli. Si tratta di un emendamento a vantaggio della maggioranza e dei leader dei partiti che rivestono un ruolo di primaria importanza.

Le richieste della maggioranza

La maggioranza chiede innanzitutto di rivedere il meccanismo previsto da Agcom, secondo il quale, nel periodo preelettorale, presenze e interviste televisive degli esponenti politici vengono valutate non solo dal punto di vista ‘quantitativo’, ma anche ‘qualitativo’. La parità di trattamento all’interno dei programmi per Agcom va garantita tenendo conto della collocazione oraria delle trasmissioni ma anche degli ascolti: “I tempi dei soggetti – si legge nella delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – sono valutati anche considerando la visibilità dei soggetti politici a seconda delle fasce orarie in cui l’esposizione avviene, sulla base degli ascolti registrati dall’Auditel“. FdI, Lega e Nm propongono invece di sopprimere il comma e, in subordine, di eliminare i riferimenti all’Auditel. La maggioranza, sempre con l’esclusione di Forza Italia, chiede inoltre di cancellare il comma 5 bis, secondo il quale a ogni fascia oraria deve corrispondere un diverso indicatore, calcolato anche in considerazione degli ascolti medi registrati da ciascuna rete Rai.

La reazione dei giornalisti e dell’opposizione

I giornalisti della Rai, rete pubblica sulla quale ricade la proposta approvata, hanno unito le firme in un comunicato dell’Unione sindacale giornalisti Rai. Nella nota si legge tutta la contrarietà in merito alla decisione presa. “La maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono”, si legge nelle primissime righe.

Anche l’opposizione si è posta dall’altra parte della proposta, bocciandola. I parlamentari del Pd nella Commissione vigilanza hanno usato il termine “volontà di far esondare il governo durante la campagna elettorale”. Il Movimento 5 Stelle ha fatto notare che ogni tentativo di trovare una mediazione con la maggioranza è stato schiacciato; infine Alleanza Verdi-Sinistra ha commentato con la frase: “Si sancisce l’occupazione del governo e della stessa maggioranza degli spazi televisivi Rai”.

Gli emendamenti ritirati

Fratelli d’Italia ha deciso di ritirare gli emendamenti presentati dal senatore Gianni Berrino al disegno di legge sulla diffamazione con cui si chiedeva la reintroduzione della pena detentiva per i giornalisti. Nella proposta era stato chiesto il carcere fino a quattro anni e mezzo in caso di diffamazione aggravata. Berrino ha spiegato il motivo del dietrofront: «Avevo presentato due emendamenti per garantire la piena tutela delle persone offese da meccanismi di “macchina del fango”. La necessità di procedere con celerità all’approvazione del ddl sulla diffamazione, mi ha convinto a ritirare gli emendamenti. In ogni caso, alleggerivano sensibilmente le pene attualmente previste».

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