Si attende un nuovo emendamento per il Superbonus. Nulla di ufficiale, ma dagli ambienti romani vicini al Governo tra il 6 e il 10 marzo potrebbero giungere novità per attenuare gli effetti dello stallo seguito al decreto legge “blocca crediti” dello scorso 16 febbraio.
Il 6 marzo scade il termine entro il quale si potranno presentare gli emendamenti e così entro fine marzo si potrebbe arrivare ad una discussione.
Il Governo Meloni, ascoltate le parti, sta mettendo a punto una strategia di uscita per ‘salvare il salvabile’ e mettere al sicuro le aziende e le famiglie che hanno investito sul bonus. Nessun passo indietro, ma un passo di lato verso la normalizzazione e la risoluzione delle principali criticità portate sul tavolo dai rappresentanti del settore edile.
Crediti incagliati
La principale questione da risolvere è rappresentata dalla zavorra dei crediti fiscali ‘incagliati’. Secondo le ultime stime si tratterebbe di un peso di circa 25 miliardi di euro. Crediti in sofferenza che ‘attendono’ la data del 31 marzo, quando dovranno essere comunicate all’Agenzia delle entrate le cessioni 2022. Il relatore alla legge di conversione del dl 11/23 Andrea de Bertoldi resta cauto: “Stiamo lavorando e abbiamo buone speranze di trovare una soluzione che consenta di superare il problema senza ricorrere alla proroga”. Al ministero si lavora per una sorta di corridoio fiscale per casi specifici, in determinate situazioni come Sismabonus, Ecobonus con soglie Isee, incapienti, onlus e Iacp è possibile che si mantenga una forma di cessione dei crediti.
Camisa (Confapi) fa il punto della situazione
“I tavoli tecnici sono al lavoro – spiega il presidente di Confapi (Confederazione italiana della piccola e media industria), Cristian Camisa – ma la preoccupazione per oltre trentamila aziende e circa 170mila lavoratori resta molto forte. Riteniamo che la soluzione più percorribile per il futuro sia di offrire la possibilità a quelle aziende che hanno crediti incagliati di utilizzare lo sconto in fattura da portare in detrazione in un arco temporale tra i 4 e i 10 anni”.
“Allungare i tempi in dichiarazione del credito d’imposta – continua – consentirebbe alle imprese di respirare e al contempo per lo Stato non ci sarebbero problemi contabili di bilancio. Naturalmente perché ciò accada le parti restanti dei crediti annuali dovrebbero essere finanziate dalle banche, da Sace o da Cassa depositi e Prestiti, che avrebbero come garanzia i crediti stessi. Come Confapi abbiamo anche proposto al Governo – aggiunge – di aprire alla cessione del credito per un periodo temporale limitato, tempistica necessaria per rendere operativa l’eventuale cartolarizzazione del credito o gli anticipi F24, individuando aziende a partecipazione statale come Eni e Enel che hanno accumulato extraprofitti e avrebbero tutta la capienza necessaria”.