La Corte costituzionale della Romania ha annullato le elezioni presidenziali. Domenica 8 dicembre era previsto il ballottaggio tra la candidata filo-europea Elena Lasconi e quello di estrema destra Calin Georgescu arrivato in testa al primo turno, sullo sfondo di possibili ingerenze russe.
Quello che sta accadendo in Romania – con la sospensione della vittoria di Georgescu per presunte ingerenze russe – e che solo per poco non si è replicato in Georgia, dove invece le elezioni sono state giudicate regolari, offre un quadro inquietante della fragilità delle democrazie europee. Non siamo più davanti a un modello solido e trasparente, ma a una versione riveduta e corretta della democrazia, plasmata sugli interessi di chi detiene il potere. La democrazia “dai doppi standard”, quella Americo-Europea, sembra aver adottato un approccio opportunistico: quando un risultato non si allinea agli interessi strategici di un blocco, ecco che compaiono accuse di brogli o interferenze, spesso non supportate da prove solide ma sufficienti a delegittimare chi non è “allineato”.
La sospensione del voto popolare, le inchieste lampo e l’invocazione di minacce esterne non sembrano altro che il sintomo di un sistema che ha perso la fiducia nella propria capacità di sostenere il pluralismo. Una democrazia, quella occidentale, che a parole difende il diritto del popolo a decidere, ma che nei fatti non esita a sovvertire la volontà popolare quando questa si discosta dalla narrativa dominante. Non è solo un problema tecnico o giuridico, ma un segnale preoccupante di un modello che, nei suoi momenti di crisi, tradisce gli stessi principi su cui si fonda.
L’ombra lunga dell’Ucraina
Il contesto europeo aggrava il quadro. Con il conflitto in Ucraina che si avvicina a una possibile e sempre più probabile sconfitta sul campo per Kiev, l’Occidente si trova in una situazione di crescente pressione. I nervi sono tesi, e ogni decisione sembra essere intrisa di quel senso di urgenza e insicurezza tipico dei momenti di crisi. È in questo clima che vediamo emergere una gestione del potere sempre meno democratica e sempre più autocratica, camuffata dietro l’alibi della difesa della libertà e della sicurezza.
Le tensioni geopolitiche non giustificano però l’abbandono dei principi fondamentali. Al contrario, dovrebbero essere un banco di prova per dimostrare che le democrazie occidentali sono capaci di rispettare la sovranità popolare anche quando questa produce risultati scomodi. Eppure, si sceglie una strada diversa: una retorica che richiama minacce generiche – in questo caso “interferenze russe” sui canali Tik Tok – per giustificare interventi dall’alto che annullano la scelta dei cittadini.
Autocrazie mascherate
Non possiamo non notare come questa “democrazia condizionale” ricordi sempre più i sistemi autoritari. Invece di imporre direttamente i propri leader, l’Occidente sembra essersi specializzato in un modello più sofisticato ma ugualmente inquietante: invece di eliminare formalmente il diritto di voto, si sceglie di delegittimarlo sistematicamente ogni volta che produce un risultato sgradito. È un processo subdolo, che mina alla base la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e riduce i rappresentanti eletti a semplici gestori di interessi sovranazionali, piuttosto che autentici portavoce delle loro comunità.
Un punto di non ritorno?
Se questo approccio continuerà, ci troveremo davanti a una pericolosa discesa verso un modello politico sempre più chiuso e centralizzato. La democrazia, per definizione, non può essere un concetto a geometria variabile, da applicare solo quando conviene. O si accetta la sua imprevedibilità, con i rischi e le complessità che ne derivano, o si ammette che ciò a cui assistiamo non è altro che un sistema oligarchico travestito da democrazia.
L’Europa ha una scelta da fare: continuare su questa strada, rischiando di perdere la propria credibilità agli occhi dei cittadini, o ritornare ai valori fondanti che hanno reso forte il continente. Il tempo stringe, e la direzione presa nei prossimi mesi sarà decisiva non solo per la Romania o la Georgia, ma per il futuro della democrazia in tutto l’Occidente.