L’Istat racconta “vent’anni di mancata convergenza” con la politica di coesione in una conferenza stampa.”Non si è verificato il processo di convergenza” delle regioni italiane “meno sviluppate”, osserva in un focus sulla politica di coesione Ue “che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue27”.
Nel 2000 erano dieci le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite a parità di potere d’acquisto e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro, mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano ben quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria).
Il divario misurato col Pil
Il divario crescente in termini di reddito (misurato in Pil pro capite in ppa) fra le regioni italiane economicamente meno avanzate e l’Ue27, è spiegato interamente dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali. Soltanto nel corso dell’ultimo ciclo di programmazione 2014-2020 è divenuta determinante anche la produttività del lavoro inferiore alla media Ue27 di 9 punti percentuali.
Nelle regioni italiane classificate come meno sviluppate (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno ad eccezione dell’Abruzzo), “la doppia crisi economica del 2008-09 e del 2011-13 non è stata praticamente mai intervallata da una fase di ripresa economica, e anche nel periodo successivo il tasso di crescita medio annuo del Pil pro capite, è stato inferiore rispetto al dato nazionale ed europeo con la sola eccezione delle sue regioni più piccole”, scrive l’Istat.
L’Italia perde posizioni in Europa
Al tempo stesso, le regioni italiane economicamente più avanzate, “si sono contraddistinte per un processo di lento ma progressivo allontanamento dalle altre regioni simili dell’Ue. In un’ottica di dinamica centro-periferia, è possibile osservare come da una parte le regioni ‘periferiche’ italiane siano rimaste tali, dall’altra le nostre regioni ‘centrali’ in termini di reddito abbiano vissuto un progressivo allontanamento dal ‘centro’ europeo, registrando tassi di crescita medi annui fra i più bassi, così da perdere non solo il loro effetto traino verso il resto dell’Italia ma anche non mostrandosi capaci di agganciare il traino delle locomotive europee”.
L’inversione di tendenza
Nel corso degli ultimi quattro anni, favoriti dalla fase di investimenti post Covid, “qualcosa però – si legge nel testo – sembra essere parzialmente mutato: non solo parte di questi territori economicamente avanzati sembrano crescere ad un ritmo superiore alla media europea, ma anche intere regioni hanno fatto registrare crescite superiori alla media Ue. In particolare, si segnala il caso della Lombardia (+1,9% annuo), della Puglia e della Basilicata (rispettivamente +1,8% e +2,5%).