La crisi dell’ex Ilva di Taranto entra in una fase ancora più critica. Mentre il dialogo tra governo italiano e Baku Steel Group prosegue con molte incognite, il malcontento tra lavoratori e sindacati esplode. Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato per il 21 maggio uno sciopero nazionale di quattro ore in tutti gli stabilimenti del gruppo, per denunciare un “clima di incertezza insostenibile” e sollecitare “azioni immediate” da parte dell’esecutivo.
Le trattative con la società azera sono ancora in corso, ma la situazione dello stabilimento di Taranto continua a peggiorare. Dopo l’incidente all’altoforno 1, il governo ha autorizzato un ulteriore ricorso alla cassa integrazione, che, secondo alcune fonti sindacali, potrebbe coinvolgere fino al 70% dei dipendenti in determinati reparti. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha dichiarato che il piano industriale dovrà ora essere “adattato a ciò che è accaduto”, sottolineando le difficoltà operative: “Sono passati 12 giorni e alcune autorizzazioni per la messa in sicurezza dell’impianto non sono ancora state concesse”.
A complicare ulteriormente il quadro, la recente sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato la gara per la realizzazione dell’impianto destinato alla produzione del preridotto, acciaio a minore impatto ambientale, considerato un tassello chiave per la transizione green del sito.
Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha lanciato un appello chiaro: “Sarebbe una pazzia perdere un’industria strategica come l’ex Ilva. Non possiamo permetterci di comprare l’acciaio in altri continenti per poi pensare di essere competitivi”. Un messaggio che punta a tenere alta l’attenzione politica e industriale su un impianto che, nonostante la lunga crisi, resta centrale nella filiera dell’acciaio italiana ed europea.
Nel frattempo, anche dal territorio arrivano segnali forti. Il movimento Giustizia per Taranto ha indirizzato una lettera alle potenziali cordate acquirenti – Baku Steel, la cinese Baosteel e la Jindal – per dissuaderle dall’investire sull’impianto, ritenuto pericoloso sia per i lavoratori che per i residenti. Secondo gli attivisti, l’acciaieria genera solo perdite e andrebbe dismessa in favore di un nuovo modello industriale sostenibile.
Il governo, tuttavia, sembra voler puntare su una diversificazione produttiva per l’intero polo di Taranto. Urso ha riunito un tavolo tecnico con le principali aziende interessate allo sviluppo industriale dell’area, tra cui Fincantieri, Webuild e Toto Holding-Renexia. Ne sono scaturiti 15 progetti che spaziano dalla carpenteria metallica all’eolico offshore, passando per i data center e un’infrastruttura per l’intelligenza artificiale che potrebbe diventare la più grande d’Europa. Si parla di un potenziale occupazionale di oltre 5mila addetti, ma che richiederà un robusto piano di riconversione delle competenze dei lavoratori attualmente impiegati.
In attesa dell’incontro con i sindacati previsto per mercoledì a Palazzo Chigi, resta aperto il nodo centrale: come garantire un futuro produttivo, occupazionale e ambientale a un sito industriale da decenni al centro delle tensioni tra economia, politica e salute pubblica.
Leggi le notizie di Piazza Borsa
Per restare sempre aggiornato, segui i nostri canali social Facebook, Twitter e LinkedIn
Leggi anche
https://piazzaborsa.eu/taranto-verso-la-riconversione-industriale-15-progetti-per-oltre-5-000-nuovi-posti-di-lavoro/