Piattaforme per le trivellazioni offshore
Piattaforme per le trivellazioni offshore

Nuove trivellazioni? «Nì»

A meno di una settimana dalla sua pubblicazione fa discutere il Piano delle aree idonee alla ricerca e all’estrazione dal sottosuolo. Con il decreto 548 del 28 dicembre 2021 pubblicato lo scorso 11 febbraio in Gazzetta ufficiale, il ministero della Transizione ecologica ha individuato tutte le zone in cui è possibile riavviare le trivellazioni in Italia. Che sia per indagine o sfruttamento delle risorse naturali, spinto anche dai venti di guerra che soffiano sul fronte del gas e del petrolio, il ministero ha voluto sospendere una moratoria alle trivelle datata 2019 e durata tre anni. Una vittoria per le imprese del settore? La risposta è «nì». Se come annunciava trionfante il MiTe all’Ansa l’obiettivo era quello di fornire agli operatori «regole certe dopo anni di attesa», son gli stessi operatori a replicare e a dirsi traditi.

I delusi, da Ravenna al Nomisma

Il porto di Ravenna, sull’Adriatico, è il collettore di oltre il 50 per cento delle estrazioni di gas metano d’Italie. Il sindaco appena riconfermato del Partito democratico è Michele De Pascale, critico sul Pitesai: «È un provvedimento che è stato fatto per diminuire la produzione di gas, non per aumentarla. Cingolani ha fatto miracoli, ma l’impostazione di base rimane, ed è antistorica».

Il riferimento è alla cornice normativa della moratoria, non del tutto superata con il decreto. A fare eco a De Pascalis è il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli: «L’Italia potrebbe produrre rapidamente molto gas in più, ma con queste regole ci vorranno anni, forse decenni. Anche se tecnicamente un raddoppio della produzione da 3 a 6 miliardi di metri cubi sarebbe possibile in un anno». Secondo il numero uno della divisione energia della società di consulenza e ricerca economica fondata da romano Prodi, il Pitesai «è un mostro contro la politica energetica».

Verdi e ambientalisti contro le trivellazioni

Non mancano inoltre i delusi sull’altro lato della barricata. Il fronte ambientalista. «Invece di sostenere immediatamente le fonti rinnovabili sollecitando tutte le autorizzazioni legate a questo settore – ha dichiarato Europa verde -, Cingolani approva un piano che sospende la moratoria sulle estrazioni di idrocarburi nel nostro Paese, l’omicidio perfetto al clima». E seppure il piano circoscriva le aree idonee al 42 per cento del territorio del paese, preservando del tutto Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Liguria, Umbria, e in parte Toscana e Sardegna, gli ambientalisti sono scesi in piazza in 44 città con manifestazioni anti-trivelle e contro il gas. Nessuno sconto al MiTe, nonostante l’intento del Pitesai fosse di razionalizzare e concentrare le attività di estrazione su poche concessioni.

Il Piano sblocca infatti solo le attività più recenti, per cui è stata fatta richiesta dopo il primo gennaio del 2010 scartando le operazioni concepite con logiche più impattanti dal punto di vista ambientale.

I numeri del settore energetico

È evidente che la ripresa delle attività di indagine ed estrazione di gas via terra e offshore sia un tema centrale per il successo di un piano strategico italiano efficace in tema di energia. Il problema principale, che il Pitesai non sembra capace di risolvere e sembra scontentare tutti è un problema (infra)strutturale. Nel 2021 secondo dati Nomisma energia l’Italia ha prodotto circa 3.2 miliardi di metri cubi di gas e ne ha usati più di venti volte tanto: 72 miliardi di metri cubi. La ripresa delle estrazioni potrebbe portare nei calcoli del MiTe ad un raddoppio della produzione italiana, arrivando così a 6 miliardi di metri cubi. Si arriverebbe del resto a un 10 per cento circa del fabbisogno nazional. Una criticità evidente è rappresentata dal settore rinnovabili dal momento che idroelettrico, fotovoltaico ed eolico coprono sin qui soltanto il 5 per cento della domanda energetica nazionale.

 

L’addizione percentuale è semplice e anche nella migliore delle ipotesi resta misera per l’Italia che continuerà a sacrificare grosse fette del Prodotto interno lordo per l’approvvigionamento energetico sul mercato estero. E con il petrolio che si aggira intorno alla soglia dei 100 dollari al barile e la crisi ucraina che pesa sul gas russo il governo sarà costretto a fare molto di più affinché i conti tornino.