Amedeo Giurazza

La capacità di innovazione, l’inventiva e la creatività sono caratteristiche del popolo meridionale riconosciute internazionalmente: un processo virtuoso di creazione di valore che, però, spesso si interrompe poco dopo l’ideazione. Ciò che accade più frequentemente è che ci sia penuria capitali, che si incontrino difficoltà a ricevere finanziamenti e a trovare imprenditori disposti ad investire in idee disruptive. E’ quello che da 20 anni fa Amedeo Giurazza, imprenditore napoletano con più di 35 anni di esperienza nell’intermediazione finanziaria e che dal 2007 dirige con successo la prima e, ad oggi, unica SGR del Sud Italia, Vertis.

Un “monopolio” che pesa sulle spalle di chi ha a cuore lo sviluppo di un territorio storicamente trascurato dagli investitori: “Ho sperato che il mio esempio avrebbe portato alla nascita di altre SGR con cui confrontarmi, condividere progetti e anche rischi, costruire insieme un tessuto industriale innovativo, ma purtroppo al Sud continuano a mancare imprenditori coraggiosi nel mondo della finanza e degli investimenti nelle aziende.”

Una vera e propria evangelizzazione del territorio se si pensa che, prima del 2009, l’anno in cui Giurazza lancia il primo fondo di venture capital, nel Mezzogiorno era stata fatta un’unica operazione in startup in 5 anni: da quel momento, si è dato il via ad una vera e propria cultura imprenditoriale in materia. “Oggi ci sono tanti giovani e meno giovani che ci provano, con una qualità e un impegno ancora maggiore che in passato. E’ nostro dovere essere un punto di riferimento per chi vuole fare innovazione al Sud.”

Il Sud come priorità

Oggi che l’operatività di Vertis si è estesa a livello nazionale, grazie anche alla presenza di una sede a Milano attiva dal 2014, il focus continua a rimanere sul Sud Italia, a cui fino ad oggi è stato indirizzato circa il 65% dei capitali investiti. “Il Sud è un territorio ancora poco presidiato da parte degli investitori, purtroppo sono ancora presenti molti pregiudizi sulle capacità di impegno e di fare impresa dei meridionali.”

Proprio per dare la possibilità a giovani competenti e motivati del Sud di entrare nel mondo della finanza dalla porta principale, Giurazza ha ideato UniVertis, una scuola di finanza operativa che ha lanciato un nuovo master per analisti finanziari di venture capital e private equity con lezioni tenute esclusivamente da operatori del mercato. UniVertis vanta 104 partner e nel master saranno coinvolti circa 70 docenti.  “Si tratta di una prima edizione che partirà a settembre e che prevede più di 800 ore di formazione, tra aula – a Napoli – e stage, con la speranza che questi ragazzi, una volta fatta la giusta gavetta presso i principali operatori finanziari al Nord, tornino nel Mezzogiorno da imprenditori per mettere a frutto le proprie esperienze.”

Attraverso i suoi sette fondi, i primi tre dei quali dedicati esclusivamente al Mezzogiorno, Vertis ha creato un mercato e una strada che può più essere abbandonata. “Questo è stato possibile anche grazie all’intervento di Cdp Venture Capital, che in tre anni ha fatto un lavoro che altrimenti avrebbe richiesto decenni. Grazie ai capitali a disposizione e alle rilevanti competenze manageriali, Cdp Venture Capital ha creato nuovi operatori, rafforzato quelli esistenti e accelerato l’ecosistema italiano del venture capital e delle startup. Inoltre, ha creato una decina di acceleratori verticali distribuiti in tutto il paese. Anche se l’Italia è ancora dietro al resto dell’Europa, la situazione in questi ultimi anni è nettamente migliorata.”

Ma quali sono i principali ostacoli che il venture capital deve ancora superare? Mancano ancora dei pezzi? “In Italia ci sono pochi operatori che lavorano sul pre-seed e seed capital, ossia la fase iniziale nella quale l’imprenditore di una startup cerca e raccoglie fondi sotto i 500 mila euro che gli permettano di avviare la sua impresa. Inoltre, mancano investitori disposti ad impegnare cifre sopra i 50 milioni di euro per round e, quindi, le startup si rivolgono a investitori esteri per il loro fundraising. Così facendo, l’Italia perde tutta l’innovazione che si è curata nei primi anni a beneficio di USA, Israele e altri Paesi europei; l’ideale sarebbe disporre di un mega-fondo in grado di investire capitali consistenti in startup in fase di crescita avanzata, allo scopo di trattenere nel Paese questi campioni di innovazione. Un’altra necessità è quella di disporre di un fondo di replacement: i nostri business angels, che investono nelle startup, non riescono mai a monetizzare per poter reinvestire i propri capitali in altri progetti; ciò perché i fondi di venture capital tendono a intervenire attraverso aumenti di capitale aggiuntivi senza sostituire i vecchi soci. Infine, in Italia devono ancora muoversi compagnie di assicurazione e fondi pensione, che, negli altri Paesi europei, risultano i principali investitori nell’asset class venture capital, garantendo continuamente flussi rilevanti di capitale.”

Favorire la crescita

La carica vitale e l’energia di Amedeo parlano di un lavoro stimolante e divertente, pieno di soddisfazioni, come la recente vendita a un nuovo Fondo della partecipazione in Selematic, azienda salernitana produttrice di macchine per il packaging secondario, in cui Vertis era entrata meno di 5 anni prima favorendone la crescita, la managerializzazione e il passaggio generazionale. “Un ritorno interessante per gli investitori: quasi tre volte il capitale iniziale”.

Non mancano ovviamente le delusioni, l’ultima quella di Credimi, startup fintech che si occupa di finanziamenti online che, dal 2017 al 2021, triplicava i risultati annualmente guidata da un ex partner di Boston Consulting Group e con una linea di management di primo ordine, e che nel secondo semestre 2022, non è riuscita a reperire credito e a portare avanti il proprio business. “Per dare continuità all’azienda e per garantire l’occupazione, purtroppo a breve la cederemo ad una banca, in cambio, come si dice da noi, di un piatto di fagioli riscaldato”.

Vertis oggi può contare su un team formato da manager esperti e con un elevato livello di conoscenze specializzate, ai quali, dopo un lungo percorso lavorativo in altre aziende, da ormai 8 anni si è aggiunto anche il figlio di Amedeo, Giacomo. Grazie ad un rigoroso processo di ricerca e ad un’attenta analisi e selezione delle opportunità di investimento – che devono avere alte prospettive di crescita, in termini di modello di business, di mercato target, di posizione nel settore, di solidità del piano industriale e soprattutto di competenze del management – l’SGR napoletana riesce a fornire interessanti ritorni finanziari ai suoi investitori. Ma non è tutto: un occhio di riguardo viene riservato per aspetti meno direttamente “monetizzabili” come lo sviluppo del territorio, l’occupazione e il gender equality e la sostenibilità. “Oltre un anno fa, siamo stati i primi intermediari nel mondo di Venture Capital in Italia ad avere un responsabile interno sull’ESG e siamo probabilmente gli unici ad indicizzare parte del compenso degli amministratori delle startup agli obiettivi ESG che raggiungono, innescando un auspicato circolo virtuoso. Siamo sicuri che nei prossimi anni il mercato premierà le aziende che si saranno mosse in questa direzione.”

Una storia imprenditoriale di successo che ci parla di passione per l’innovazione e per la creatività, di radicamento per il territorio, di attenzione ai giovani, di capacità e volontà di assumersi rischi: un racconto che deve essere un esempio per chi è interessato a contribuire alla crescita industriale e finanziaria del Sud Italia.

di Serena Lena