All’inizio dell’invasione dell’Ucraina solo alcune decine di aziende avevano annunciato il loro ritiro dalla Russia. Ora, secondo uno studio portato avanti dall’Università di Yale, le multinazionali sono diventate almeno 600. La lista comprende marchi molto noti. La scelta di una multinazionale di lasciare il territorio russo può infatti rafforzare “la punizione economica”, senza dimenticare che in questo modo, senza aspettare le istituzioni, i brand decidono di schierarsi e di prendere posizione aggiungendo valore alla propria reputazione.
Hanno lasciato la Russia circa 253 aziende, tra cui Accenture, Alcoa, American Airlines, BlackRock, BP, Deloitte, eBay, KPMG, McKinsey & Company, PwC, Reebok, Shell.
248 aziende hanno sospeso le attività
Hanno sospeso, invece, le attività circa 248 aziende, tra cui Adidas, American Express, Burger King, Chanel, Coca-Cola, Disney, Estée Lauder, General Motors, Hewlett Packard, HP, Hyundai, IBM, Levi Strauss & Company, MasterCard, McDonalds, Nike, Oracle, Paramount, PayPal, Starbucks, Visa, Xerox.
Inoltre il team di Yale informa che almeno 248 aziende hanno sospeso tutte o quasi le loro operazioni aziendali in Russia senza uscire definitivamente o disinvestire. In molti casi, queste aziende hanno cessato di fare affari in Russia ma continuano a pagare i loro dipendenti russi, lasciando così la porta aperta al ritorno. Adidas, Disney, IBM e Nike rientrano in questa categoria.
Hanno ridotto le proprie attività Bacardi, Caterpillar, Goldman Sachs, JPMorgan, Kellogg’s, Mars, PepsiCo, PPG Industries, Whirlpool, Yum Brands. Hanno fermato gli investimenti 96 aziende, tra cui Abbott Laboratories, Colgate-Palmolive, Credit Suisse, Danone, Johnson & Johnson, Procter & Gamble, Siemens, Unilever.
Acer, Alibaba, Asus, Lenovo. Queste e almeno altre 150 aziende non hanno annunciato sostanziali cambiamenti volontari alle loro operazioni o ai loro investimenti nel paese. Alcune di queste aziende hanno fatto donazioni a organizzazioni umanitarie internazionali o hanno annunciato vaghe rivalutazioni delle operazioni in Russia, ma non hanno preso alcuna misura concreta per sospendere o ridurre i loro affari lì, oltre il minimo indispensabile richiesto legalmente dalle sanzioni internazionali.
Ci sono precedenti? Qualcosa di simile successe nella seconda metà degli anni ’80, quando circa 200 aziende americane lasciarono il Sudafrica per protestare contro l’apartheid.
Come si comportano le aziende italiane?
Sul territorio dello Stato con capitale Mosca, agiscono circa 480 imprese italiane, per un export di circa 8 miliardi di euro. Il nostro è il settimo Paese fornitore della Russia per una quota di mercato del 4,1%, mentre quella russa è la quattordicesima piazza di destinazione del nostro export, pari all’1,5% del valore nazionale.
Quasi 30 aziende, equivalenti al 6% del totale, sono presenti con impianti produttivi stabili: Todini Costruzioni, Barilla, Pirelli, Marcegaglia, Leonardo, Tecnimont, Coeclerici, Enel, Eni, Danieli, Parmalat, Mapei, Menarini, Salini, Perfetti, Angelini, Alfasigma, Chiesi, Kedrion, Italfarmaco, Recordati, Zambon, Dompé. Tra le medie e piccole, sono censite nel settore produttivo, circa 150 imprese (31% del totale), sul posto con cooperazioni produttive o attraverso joint venture, in quello commerciale circa 300 imprese con uffici di rappresentanza, corrispondenti al 62% delle imprese complessive.